Per il prossimo anno l’Italia mette in programma la crescita più bassa dell’Eurozona e la spesa per interessi è di gran lunga maggiore dell’area (il 4,2% del Pil, un punto in più della Grecia). Siamo in compagnia di altri sei paesi a sforare il tetto del deficit al 3% e di altri sette nell’assenza di una significativa discesa del peso del debito sul prodotto. Stefano Fassina, economista ed ex viceministro dell’Economia del governo Letta, oggi presidente dell’associazione Patria e Costituzione, che ne pensa?
“Il nostro debito pubblico è una zavorra enorme. L’Italia ha le mani legate. La Germania distribuisce 200 miliardi in sostegni a imprese e famiglie nel 2023, capacità di investimento e potere d’acquisto per il settore privato. Noi, no. La Germania nel 2024 prevede un deficit primario, ossia al netto della spesa per interessi, dell’1%. Noi, secondo la Nadef, saremo in pareggio. Inoltre, con i BOT che rendono oltre il 2% in più dei BUND e un’inflazione in riallineamento tra Roma e Berlino, si determina per noi un effetto di spiazzamento degli investimenti privati nell’economia reale. Insomma, il nostro Pil a venire, come da 30 anni, è frenato, rispetto alle altre economie, da politiche di bilancio molto più restrittive. Nelle ultime Considerazioni finali del Governatore Visco, c’è un grafico illuminante: dagli anni ’90, noi abbiamo avuto un saldo primario di circa 2 punti percentuali in più della media dell’eurozona esclusa l’Italia. A valori attuali, è come se, ogni anno, per 30 anni, avessimo avuto 40 miliardi in più, l’equivalente annuale medio del PNRR, da utilizzare per maggiori investimenti o minori imposte. Insomma, la nostra economia reale, da decenni corre con meno ossigeno in confronto a tutte le altre. In un contesto di politica monetaria restrittiva, l’effetto su di noi è molto più pesante che per gli altri. Nella competizione tra economie nazionali, le regole ordo-liberiste uguali per tutti, determinano uno svantaggio netto e continuativo per l’Italia. Ricette miracolose per risolvere il problema non vi sono. Sarebbe necessaria una svolta politica nell’Ue o, almeno, nell’eurozona verso un’effettiva politica di rafforzamento dell’area. Ma, come registriamo amaramente tutti i giorni sulle sempre più drammatiche vicende internazionali, non mi pare all’orizzonte. Anzi”.
La Manovra è seria, realistica e prudente, ripetono in coro la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Lei che giudizio ne dà?
“Sul piano macro-economico e di finanza pubblica assume i dati di realtà. Non è stata una scelta. È stata disciplina indotta dal vincolo esterno imposto dai mercati finanziari. Nella Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza è scritto che rispetta la regola di riduzione del deficit strutturale di mezzo punto percentuale di Pil. Ma sono preoccupato. Non per l’eventuale mancato accordo sulla revisione della governance economica. È sostanzialmente irrilevante. Sono preoccupato per la valanga di debito da vendere nel 2024. Nessuno o quasi ha letto o commentato adeguatamente un numerino contenuto, nell’angolo in basso a destra, della Tabella 3.5 del documento consegnato dalla Presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, Lilia Cavallari, all’audizione sulla Nadef nelle Commissioni Bilancio di Camera e Senato nei giorni scorsi. È impressionante. L’anno prossimo, il governo italiano dovrà collocare sul mercato, al netto dei residuali acquisti della Bce, 480 miliardi di Titoli di Stato. È un ammontare di gran lunga maggiore di sempre. Sarà molto costoso piazzarli, ancor di più in un quadro internazionale dove riprendono a salire i prezzi dell’energia. A breve, arriva il giudizio delle agenzie di rating. Insomma, la Manovra è di galleggiamento. Un galleggiamento precarissimo, con qualche spot per arrivare alle elezioni europee. Speriamo la nave regga fino a giugno”.
Il taglio del cuneo e la riforma Irpef sono coperti solo per il 2024. Assieme le due misure assorbono circa 15 miliardi di euro. È stata a suo parere una scelta giusta questa del governo?
“Che senso ha continuare a fase interventi sull’Irpef di durata annuale? Sarebbe ora di un’operazione verità sulle nostre condizioni di finanza pubblica. Invece, il governo e la sua maggioranza insistono su promesse impraticabili: meno tasse e, insieme, più spesa. E, impossibilitati, denunciano complotti. Consiglierei serietà. Finanza e Governi stranieri fanno i loro interessi. Il completo commissariamento dell’Italia, per l’ennesima volta, sarebbe esiziale per la nostra democrazia. Ne beneficerebbe soltanto l’anti-politica nella sua versione ‘tecnocratica’. Attenzione. La prima promessa da archiviare è l‘autonomia differenziata: è surreale. Poi, si deve riconoscere che le entrate fiscali in rapporto al Pil, in Italia, purtroppo, non posso essere ridotte. Ma devono essere redistribuite. Ridotte a chi paga e ha redditi da lavoro o da micro e piccola impresa. Fatte pagare a chi non paga e può pagare e chi ha rendite ed enormi profitti”.
Sanità. Alla fine, sono stati stanziati tre miliardi di euro. Crede siano sufficienti? Il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ne chiedeva quattro, ha detto che il rapporto spesa sanitaria in rapporto al Pil è “un indicatore ambiguo”. Condivide?
“È parte del mascheramento dei dati di realtà. Le liste d’attesa nella stragrande maggioranza delle Regioni sono infinite. La salute è diventata un privilegio per chi può. Non è più un diritto costituzionale. La scappatoia non è il welfare aziendale per pochi pagato da tutti”.