Maria Angela Danzì, europarlamentare del M5S, il Commissario europeo Nicolas Schmit durante un incontro con la sua collega Sabrina Pignedoli ha assicurato che la direttiva europea sul salario minimo dovrà essere adottata dall’Italia anche se viene superata la soglia dell’80% della copertura della contrattazione collettiva. Intanto in Italia la Camera rinvia in commissione lavoro la proposta di legge. Resteremo tra i soli 5 paesi su 27 in Ue che ancora non hanno il salario minimo?
“Io sono convinta di no. Il tempo è galantuomo e la maggioranza di destra non potrà continuare a rinviare l’approvazione di questo provvedimento e ignorare il grido di dolore di oltre 3,6 milioni di italiani che guadagnano appena 5-6 euro l’ora. La direttiva sul salario minimo europeo va applicata e recepita nel nostro ordinamento, è vero che gli Stati membri hanno un margine di flessibilità sul come, ma tutti devono rispettare l’obiettivo finale che è quello di arrivare a salario dignitosi. Con la direttiva c’è la base legale per impugnare nei Tribunali il trattamento dei lavoratori sfruttati”.
Che senso ha aver investito della questione il Cnel?
“È stata solo una colossale perdita di tempo. Tutti ricordano le dichiarazioni contrarie al salario minimo di Brunetta quando era Ministro del governo Draghi. Coinvolgendo il Cnel Meloni ha deciso di fare melina perché non voleva dire chiaramente al Paese che è contraria a questo provvedimento apprezzato dai cittadini. Si tratta di un film dal finale già scritto, ma noi non ci arrenderemo. L’Italia ha bisogno del salario minimo, è una questione di giustizia sociale”.
Salario minimo, diritti ma anche tutela della salute mentale dei lavoratori sono tutti temi che fanno parte della sua azione al Parlamento europeo. In che modo sono collegati?
“Ieri sono intervenuta in plenaria al Parlamento europeo per proporre di ripensare la gestione tempo-lavoro nelle condizioni lavorative. Le donne non possono più scegliere fra carriera e cura della famiglia, ma devono essere libere di affermarsi in entrambe. L’Europa deve guardare al modello Olivetti, perché un lavoratore felice lavora meglio ed è un cittadino meglio integrato nella società. Un lavoratore su due nell’ultimo anno ha lasciato il proprio lavoro perché soffriva di un malessere psicologico. Inaccettabile”.
Il caporalato è una piaga anche in Lombardia…
“Il caporalato non ha confini, al massimo si presenta in modi diversi e in Lombardia per esempio si presenta in modo più raffinato, meno eclatante, ma è praticato in tutti i settori: in edilizia, come noto da decenni, e anche in agricoltura, ma anche nella logistica, nei servizi di assistenza sanitaria. A Pavia è i corso persino un processo a una cooperativa che gestiva le ambulanze e che praticava secondo le regole di caporalato grazie a un sistema di appalti nei quali ci sono troppe zone grigie. Bisogna aumentare i controlli nell’assegnazione degli incarichi pubblici, i controlli sui posti di lavoro investendo sugli ispettori del lavoro: finora è stato fatto troppo poco”.
Il caporalato arriva ai consumatori sotto forma di prodotti a basso costo, che sono però gli unici accessibili a una larga fascia di popolazione.
“Prodotti a basso costo significa sfruttamento della manodopera ma significa anche produzioni intensive in cui si ricorre ad agenti chimici dannosi alla salute. Si tratta di essere consapevoli dell’impatto che questo ha sulla spesa sanitaria. Che, secondo dati Fao, si ridurrebbe fino al 95% se si seguissero diete più salutari. Un sostegno da parte del pubblico alla capacità di spesa delle famiglie e alle politiche agricole più rispettose di esseri umani e ambiente, i cosiddetti viventi, rappresenta quindi non solo una via percorribile ma sempre più urgente”.