di Stefano Sansonetti
L’ultimo in ordine di tempo è Piero Montani. Dopo poco più di un anno alla guida della Banca popolare di Milano se ne è andato in questi giorni con un’indennità di 2 milioni di euro. Sempre un anno è durata l’esperienza di Piergiorgio Peluso, figlio del ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, sulla poltrona di direttore generale di Fonsai, lasciata l’anno scorso con una buonuscita di 3,6 milioni di euro. E che dire di Franco Bernabè ed Enrico Cucchiani, defenestrati rispettivamente da Telecom e Intesa Sanpaolo con assegni da farsi leccare i baffi? In realtà, alla faccia di una crisi che toglie sempre più ossigeno alle famiglie italiane, la lista di coloro che hanno lasciato le aziende pubbliche e private in cui lavoravano con cifre da capogiro è davvero lunga. E desta perplessità a non finire, solo per usare un pallido eufemismo, soprattutto se si prendono in considerazione le situazioni di bilancio in cui questi top manager hanno lasciato le loro ex società.
Le ultime vicende
Il caso di Montani è piuttosto eloquente. Arrivato al vertice di Bpm a gennaio 2012, con l’incarico di consigliere delegato, nei giorni scorsi ha annunciato l’abbandono della banca milanese per trasferirsi alla Carige. “La situazione di mancanza di fiducia che si è venuta a creare nei miei confronti non è per me ulteriormente sostenibile”, ha spiegato il banchiere motivando l’operazione. E così è pronta a scattare un’indennità per dimissioni per giusta causa che all’epoca venne pattuita in 2 milioni di euro. Davvero niente male, dopo poco più di un anno di lavoro e un bilancio 2012 che il gruppo Bpm ha chiuso con una perdita della bellezza di 430 milioni di euro (anche se l’ultima semestrale 2013 indica un ritorno all’utile per 110 milioni). Una vicenda che, a pensarci bene, richiama alla mente quella che ha coinvolto Franco Bernabè, l’ex presidente di Telecom che ha pagato con l’uscita dall’azienda tutte le polemiche scatenate dalla scalata degli spagnoli di Telefonica. Certo, un epilogo amaro. Ma Bernabè ha trovato di che consolarsi con una buonuscita di 6,6 milioni, così ripartiti: 3,7 come emolumento complessivo a cui avrebbe avuto diritto fino alla scadenza naturale del suo mandato e 2,9 milioni in seguito alla stipula di un patto di non concorrenza. Peccato che Telecom abbia chiuso il 2012 con un rosso di 1,2 miliardi e risulti ancora schiacciata dal peso di un debito enorme, seppure diminuito in questi anni di gestione Bernabè. Tornando a tutte quelle liquidazioni che, come minimo, danno nell’occhio per la veloce parabola aziendale che ha contraddistinto coloro che ne hanno beneficiato, non si può non citare il recente caso di Enrico Cucchiani. Poche settimane fa il numero uno di Intesa Sanpaolo è stato defenestrato dalla banca. Tra le cause, a quanto pare, le operazioni di finanziamento allegro della passata gestione nei confronti della Tassara di Romain Zaleski, uomo molto vicino all’anima di Intesa, incarnata da Giovanni Bazoli. Il tutto per prestiti alla Tassara arrivati a toccare gli 1,8 miliardi, per circa la metà non supportati da adeguate garanzie. Ebbene, secondo alcuni Cucchiani avrebbe messo nel mirino questo andazzo, attirandosi la scomunica di Bazoli. E così il manager, ex Allianz, dopo appena 21 mesi alla guida di Intesa ha abbandonato con una buonuscita di 3,6 milioni. Anche lui, quindi, ha avuto di che consolarsi.
Il passato inglorioso
Certo, quando si parla di buonuscite uno dei manager a cui si pensa è Giancarlo Cimoli. E come sarebbe possibile il contrario? Chiamato nel 1996 al vertice delle Ferrovie dello Stato dall’allora governo guidato da Romano Prodi, ha tolto il disturbo nel 2004 lasciando con un assegno che tra buonuscita e ultimo stipendio è arrivato a 6,7 milioni di euro. Nel 2004, per inciso, il bilancio delle Fs si è chiuso con 125 milioni di perdite (anche se la società è stata guidata solo i primi mesi da Cimoli). Nello stesso 2004, il manager è stato chiamato dal governo di Silvio Berlusconi al vertice di Alitalia. Dalla quale se ne è andato nel 2007 lasciando l’azienda con 380 milioni di perdite. Ebbene, anche in quell’occasione Cimoli è riuscito a strappare una buonuscita da 3 milioni. E che dire di Elio Catania? Arrivato alle Fs nel 2004 proprio in sostituzione di Cimoli, il manager ha abbandonato tre anni dopo con una buonuscita da 7 milioni, piuttosto stridente con il buco da 1,7 miliardi registrato dalla società nel 2006. Di sicuro, però, i record delle liquidazioni appartiene ai banchieri. Alessandro Profumo lasciò Unicredit nel 2010, a crisi ampiamente esplosa, con 40 milioni di euro di buonuscita. Tra anni prima, correva il 2007, l’allora ad di Capitalia Matteo Arpe, varcò il portone di Capitalia con 30 milioni.