Dopo l’ultimatum di Israele che scadrà questa mattina, è in corso il disperato esodo dei palestinesi per lasciare Gaza city e mettersi in salvo. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, siamo davanti a un’emergenza umanitaria?
“Semmai un’emergenza umanitaria ancora più grave di quella già in atto. Questo perché da lunedì, con la fine delle forniture di elettricità, carburante e acqua, gli ospedali erano già in enorme crisi e ora rischiano definitivamente di collassare. Le stesse Nazioni Unite, punto su cui Amnesty International è d’accordo, ha messo in guardia sul fatto che evacuare un milione e mezzo di persone ci mette davanti al rischio di una catastrofe umanitaria spaventosa. Per Amnesty International deve essere chiaro che il trasferimento forzato della popolazione della Palestina costituisce un crimine internazionale. Inoltre vorremmo far notare che ammesso che si riesca a spostare un milione e mezzo di persone, in quell’area nessun luogo può essere considerato sicuro. Siamo davvero molto preoccupati per la piega che sta prendendo il conflitto”.
Ha fatto molto discutere il blocco totale di Gaza imposto giorni fa da Israele. Perfino l’Onu ha ammonito Netanyahu spiegando che questo atto va contro le norme internazionali. Lei cosa ne pensa?
“Siamo davanti a una punizione collettiva e, purtroppo, non è la prima volta che viene applicata nei confronti della popolazione di Gaza. Tanto per intenderci una punizione collettiva è un crimine nella misura in cui la misura colpisce indiscriminatamente tutta la popolazione, senza che questa abbia alcuna responsabilità dei fatti che accadono. Ieri un funzionario del governo israeliano ha detto che non verranno ripristinate le forniture di elettricità, carburante e acqua, fino a quando non verranno liberati i civili tenuti in ostaggio da Hamas. Ciò la dice lunga sull’obiettivo di questo blocco totale imposto su Gaza, ossia punire una popolazione per cose fatte da gruppi armati e su cui la popolazione stessa non ha né controllo né responsabilità”.
Il ministro della Difesa di Israele ha detto che stanno combattendo “animali umani” e che perfino gli edifici civili verranno considerati obiettivi militari. Ma i cittadini palestinesi e i miliziani di Hamas sono la stessa cosa?
“Mi sembra evidente che l’identificazione della popolazione civile di Gaza con i miliziani di Hamas o di altri gruppi armati è un palese e grossolano errore. Ci ritroviamo nella stessa situazione a quella della Siria che assediava Aleppo ritenendo che se la popolazione non se ne andava, allora era connivente con i terroristi che si riparavano nella città. Il problema è la logica degli assedi che non solo non funziona ma è completamente sbagliata. Detto questo è sicuramente vero che proseguire con violenze sempre più efferate non porteranno alla pace per nessuno dei due popoli. Sia chiaro che Israele ha tutto il diritto di difendersi da una minaccia che abbiamo visto quant’è grave e feroce, ma dobbiamo dire anche che quello che sta facendo eccede completamente il concetto di legittima difesa perché bombardare le zone residenziali, i mercati e gli ospedali di Gaza, non ha nulla a che fare con il diritto alla difesa ma si tratta di crimini di guerra”.
Fermo restando la condanna degli attentati di sabato da parte di Hamas, secondo lei la reazione di Israele è comprensibile sul piano umano e soprattutto su quello giuridico?
“Noi riteniamo che quello che sta facendo Israele con i suoi 6mila bombardamenti in sei giorni, come hanno dichiarato le loro stesse forze armate, debbano essere considerate un crimine di guerra. Esattamente come lo sono quelli compiuti da Hamas. Non c’è alcun dubbio che dal punto di vista giuridico siamo davanti a palesi violazioni del diritto internazionale umanitario che stabilisce che anche le guerre hanno delle regole e che la prima di queste è quella che impone di proteggere i civili”.
In queste ore si parla di corridoi umanitari ma l’unica proposta, quella egiziana, è già naufragata. Ci può spiegare perché sono così importanti?
“In questo momento sono fondamentali tutte le soluzioni che consentano a chi vuole lasciare Gaza, di farlo il più velocemente possibile. Di pari passo bisogna però consentire l’ingresso di aiuti umanitari perché ce n’è un disperato bisogno. Aggiungo che nessuno sta considerando che il valico di Rafah in Egitto, l’unico aperto, è stato recentemente bombardato dall’aviazione israeliana e al momento è impraticabile”.
Intanto il Medio Oriente si infiamma e dal Libano fino all’Iraq, i mussulmani sono scesi in piazza a migliaia per difendere il diritto a esistere dei palestinesi. Teme un allargamento del conflitto coinvolgendo altri attori, in particolare Hezbollah?
“Purtroppo è uno scenario possibile. Ormai non si può escludere l’entrata in scena di altri attori regionali, uno su tutti Hezbollah nel sud del Libano. Vedo anche dei rischi oltre la zona mediorientale perché temo nuove ondate di antisemitismo in Europa e quindi il timore è di possibili attacchi alle comunità ebraiche. Rilevo anche tentativi di vietare le manifestazioni pro Palestina. Questi sono tutti scenari molto preoccupanti”.
Davanti a questi terribili eventi, ci sono ancora margini per affermare il principio dei “due Stati e due popoli”?
“Questa è una valutazione politica che un’organizzazione per i diritti umani non può fare. Personalmente non posso che constatare che quello che dovrebbe essere lo Stato di Palestina, per la continua appropriazione di terre e la fondazione di colonie da parte di Israele, rischierebbe di essere una serie di territori frammentati e isolati gli uni dagli altri. Detto questo noi vogliamo avere una prospettiva sul futuro e per questo insisterei sull’aspetto giudiziario perché questi conflitti si susseguono in quanto, da una parte e dall’altra, chi dà gli ordini resta sempre al proprio posto. C’è stato un fallimento totale della giustizia internazionale nel chiamare le due parti a rispondere dei crimini di guerra commessi. Siamo davanti a un deficit di giustizia che unito al deficit politico ha portato a questo scenario drammatico”.