Se hai due ospedali gemelli, ma uno è un “Dea di secondo livello”, cioè un centro specializzato nel soccorso dei casi più gravi, perché dotato di “team specializzato nella gestione della vittima di un trauma maggiore”, dove posizioneresti l’emoteca (la banca del sangue)? Nell’ospedale che ha il team specializzato o in quello che non ce l’ha? La risposta, anche per un profano di medicina d’urgenza, parrebbe scontata. Non lo è invece per i vertici dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano.
Dal 15 ottobre 2022, infatti, la direzione sanitaria del nosocomio ha deciso che di notte, dalle 20 alle 8 il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale (Simt) sia attivo solo al San Paolo. Così, quando un paziente politrauma viene portato di notte al San Carlo (il trauma center, che è anche il pronto soccorso di riferimento per tutte le manifestazioni che si svolgono allo stadio di San Siro) e ci si rende conto che ha bisogno di sangue, i sanitari sono costretti a fare una richiesta al (non) vicino ospedale San Paolo e attendere che arrivino le sacche. Naturalmente in Pronto soccorso al San Carlo è presente una riserva di plasma e di sangue, ma è limitata ad alcune sacche del gruppo Zero Negativo e Zero Positivo, utilizzabili per le prime operazioni di soccorso, ma insufficiente per far fronte alle emergenze più gravi.
Trasferire le sacche di sangue da un ospedale all’altro di Milano richiede ore. E il trasporto costa più di 2 milioni l’anno
Così, per queste ultime, scatta una procedura lunga e complicata, che prevede un prelievo al paziente che viene inviato al Simt del San Paolo da un’auto della società che ha vinto l’appalto per il trasporto (la coop Ital Enferm, che per tale servizio si è aggiudicata un affidamento da oltre 2 milioni di euro l’anno). Lì il sangue viene accettato, centrifugato (per 15 minuti) e processato (altri 45 minuti). Quindi l’analista decide le sacche idonee, le dà all’autista, che ritorna al San Carlo. E se, lo stesso paziente ha necessità di nuovo sangue, l’autista riparte per il San Paolo ecc…
L’intera procedura, secondo le indicazioni aziendali, dovrebbe durare non più di un’ora. Ma non sempre fila tutto liscio, come si evince da alcune segnalazioni fatte dai medici dell’urgenza per il periodo tra aprile e giugno 2023. A metà giugno scorso, per esempio, a fronte di una richiesta di sangue partita verso le due di notte, le sacche sono arrivate solo tre ore dopo. Il mese precedente, invece, il ritardo era stato di due ore e mezzo. E ancora, a fine aprile un altro ritardo non trascurabile. Non eventi isolati, come si legge nelle mail che circolano tra i sanitari. Tanto che gli operatori del Simt hanno deciso di annotare sui moduli l’orario nel quale le sacche sono state rese disponibili (una procedura non prevista), per evitare che eventuali ritardi nella consegna al San Carlo possa essere loro imputata.
Oltre a causare ritardi la procedura mette in crisi, secondo i medici, anche le modalità di gestione del sangue inutilizzato, a causa dei vari passaggi che rischiano di comprometterne l’integrità. Col risultato che spesso il sangue non trasfuso viene gettato via, perché nessun sanitario si prende la responsabilità di certificarne la perfetta conservazione. Ma perché allora centralizzare tutto al San Paolo, nonostante la forte opposizione dei i sindacati e le perplessità degli stessi medici del San Carlo?
Il servizio trasfusionale finisce all’ospedale San Paolo. Che l’ha sfilato al San Carlo dove ce n’è più bisogno
La Notizia l’ha chiesto ai vertici della Asst, senza ottenere risposta. Una motivazione potrebbe essere la necessità per la direzione sanitaria di far fronte all’“emorragia” di personale che ha colpito l’ospedale, dove oltre 60 tra tecnici di laboratorio, medici e biologi hanno scelto di andarsene solo negli ultimi due anni. Personale che non si riesce a rimpiazzare, come dimostrano i bandi di assunzione andati deserti. Un’altra spiegazione la suggeriscono, in incognito, alcuni sanitari dei due ospedali, che sottolineano come il San Paolo sia geograficamente più vicino del San Carlo all’istituto Humanitas, al quale l’Asst da anni assicura – in base a una convenzione onerosa – le fornitura di sangue ed emoderivati. In passato quella convenzione era anche finita sotto i riflettori del Pirellone perché l’ospedale pubblico, contrariamente alla legge, vendeva a quello privato emoderivati sotto il costo stabilito dal ministero della Salute.
In base all’accordo, tutt’ora vigente, la Asst di notte assicura a Humanitas gli emoderivati, quando l’istituto privato ha pazienti in emergenza o con particolari necessità. Non una fornitura saltuaria, visto che dall’inizio dell’accentramento del servizio al San Paolo, Humanitas ha ricevuto circa il 40% degli emoderivati usciti dal servizio Simt.