Un geyser che da oltre due mesi emette fumi tossici dal terreno incendiato lo scorso 18 luglio in via Mastellone, alla periferia est di Napoli. Ci sono sere dove in quell’area della città non si respira e l’odore del gas stringe la gola, lasciando in tutti una grande paura, perché nessuno sa quali sostanze siano interrate in quel fazzoletto di terra al confine con l’area vesuviana. Dopo settimane di proteste e sit-in sotto il palazzo del Comune, oggi si riunisce per la prima volta un tavolo di confronto tra l’Amministrazione e i comitati di cittadini. La vicenda risale ad agosto dell’anno scorso quando un precedente incendio aveva incenerito l’ex campo di Barra. Da allora si sono ripetuti altri roghi, fino all’ultimo di luglio, che ha costretto gli abitanti fino ai vicini comuni vesuviani a convivere con un odore acre e l’incubo di questo geyser.
A Napoli un geyser che da oltre due mesi emette fumi tossici dal terreno incendiato lo scorso 18 luglio in via Mastellone
“Si nota chiaramente un getto sotto pressione che fuoriesce dal terreno. Chissà cos’è stato scaricato nel sottosuolo”, si chiede il portavoce del Comitato civico di San Giovanni a Teduccio, Vincenzo Morreale, portavoce delle battaglie ambientaliste a Napoli. Associazioni, parrocchie e comitati come “Barra R-inasce” denunciano l’invivibilità dell’intera zona, come afferma Maria Rosaria De Matteo. “Secondo l’Asia – ricorda – servono cinque milioni solo per rimuovere, caratterizzare e smaltire i rifiuti. Noi stiamo chiedendo da mesi perché persiste questo geyser e vogliamo sapere cosa c’è sotto. Perciò al tavolo di questo pomeriggio avevamo chiesto anche la presenza dei Vigili del Fuoco”.
Il sindaco Gaetano Manfredi e l’assessore comunale Vincenzo Santagada si sono impegnati rispettivamente a mezzo stampa e con i comitati a reperire almeno questi cinque milioni, interloquendo con la Regione. Ed è proprio questo l’impegno che si spera di trovare onorato al tavolo di oggi nella sala Pignatelli di Palazzo San Giacomo, anche se regna parecchia diffidenza tra gli stessi comitati e cittadini esausti. D’altra parte, il fenomeno dei roghi nell’area orientale e al confine con quella vesuviana è noto, come in tutta la Terra dei fuochi. Sversamenti industriali illeciti vengono accumulati in aree abbandonate, spesso a ridosso di campi o ex campi rom, e poi dati alle fiamme.
Una nube emerge dal sottosuolo di via Mastellone
Eppure a far ancora più paura ai 120mila residenti dei quartieri che compongono la sesta Municipalità non è solo questo gas. Nell’area ex industriale persistono molti impianti inquinanti, tra cui i serbatori Q8, multinazionale finita sotto inchiesta per smaltimento illecito di rifiuti, e la centrale a Turbogas sulla costa del porto commerciale. E solo nella scorsa prima primavera il parere negativo del ministero per la Valutazione di impatto ambientale ha evitato, almeno per ora, la realizzazione del progetto di un enorme deposito di gas naturale liquido sulla costa di Vigliena.
L’inquinamento atmosferico, gli impianti a rischio e le aree da bonificare rappresentano un’emergenza da quando Napoli Est divenne nel 1999 Sito di interesse nazionale. Un problema che vive nella memoria dei cittadini dopo l’esplosione del 1985 che provocò vittime, feriti e sfollati. A questo aspetto si aggiunge quello dell’impatto sulla salute per una delle aree cittadine a più alta incidenza tumorale, anche se il Rencam – il registro nominativo delle cause di morte -, documento fondamentale per conoscere le cause di decesso territorio per territorio, non viene aggiornato da 18 anni. C’è un’emergenza ambientale a pochi metri dalla stazione centrale: si chiama Napoli Est ed è una bomba ecologica.