Il gap della spesa sanitaria pro capite con la media dei Paesi europei dell’area Ocse è di 829 euro, e per l’anno 2022 corrisponde ad un gap di quasi 48,8 miliardi di euro. Questo dato è in linea con l’entità del definanziamento pubblico per la sanità.
Abbiamo 6 infermieri e 2 medici per mille abitanti ogni mille abitanti
A evidenziarlo è il sesto rapporto della Fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale. Questo vuol dire che la spesa media pubblica per cittadino in Italia è circa la metà di quella tedesca ed inferiore di un terzo a quella francese. Questo si traduce anche in meno risorse per il personale, tanto che in Italia ci sono solo 6 infermieri e 2 medici per mille abitanti. Da parte sua, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, punta il dito sulla responsabilità delle Regioni che non spendono quanto messo a disposizione per ridurre il problema delle liste d’attesa. Tanto che, nel 2022, il 30% del fondo predisposto ad hoc non è stato utilizzato.
Speso solo il 70% dei fondi predisposti per ridurre le liste d’attesa
Se il fabbisogno sanitario nazionale dal 2010 al 2023 è aumentato di 23,3 miliardi, spiega il presidente Gimbe Nino Cartabellotta, “tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato o non hanno investito adeguatamente in sanità”. Dal 2010 al 2019 è stata la stagione dei tagli: alla sanità pubblica sono stati sottratti oltre 37 miliardi per il risanamento della finanza pubblica. Dal 2020 al 2022 c’è stata la stagione del Covid-19 e il Fondo sanitario è aumentato di 11,2 miliardi, crescendo in media del 3,4% annuo ma è stato assorbito dai costi della pandemia. Per il periodo 2023-2026, infine, in base alla Nota di Aggiornamento del Def, il rapporto spesa sanitaria/Pil scende dal 6,6% del 2023 al 6,2% nel 2024 e nel 2025, e poi ancora al 6,1% nel 2026.
Cartabellotta: “Tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni hanno tagliato o non hanno investito adeguatamente in sanità”
La conseguenza, prosegue Cartabellotta, sono “affollamento dei pronto soccorso, inaccettabili diseguaglianze regionali, aumento della spesa privata sino alla rinuncia alle cure e interminabili liste d’attesa”. Liste per ridurre le quali sono stati messi a disposizione 500 milioni di euro dalle Regioni nel 2022, ma evidenzia il ministro della Salute, Schillaci, “solo il 69,6% sono stati utilizzati, con un residuo di oltre 160 milioni”, con “Regioni che hanno speso più del 100% e altre che hanno dedicato all’abbattimento delle liste solo il 30% della dotazione”. Non va meglio sul fronte degli infermieri, professione centrale anche per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nel 2021 la media italiana, secondo i dati del ministero della Salute, è di 5 infermieri per 1.000 abitanti, ma si va dai 3,6 della Campania ai 6,7 del Friuli Venezia Giulia.
E l’Italia è ben al di sotto della media di altri Paesi europei, con 6 infermieri (in questo caso contando anche quelli che non lavorano per il Ssn) per mille abitanti, a fronte di 9,9 della media Ocse. “Servono investimenti certi e vincolati per il personale sanitario, oltre che un’adeguata rivalutazione del fabbisogno di personale”, precisa Cartabellotta che, a fronte di un “Servizio sanitario nazionale ormai al capolinea” invoca un “patto sociale e politico che rilanci il modello di sanità pubblica, equa e universalistica”.
“Bisogna cambiare strada subito – chiede Michele Vannini, segretario Fp Cgil (Area Sanità) – con un piano straordinario di assunzioni e alzando adeguatamente le retribuzioni”. Il rapporto “è l’ennesimo documento che illustra lo stato desolante in cui versa la sanità pubblica”: lo sostengono i sindacati medici Anaao Assomed e Cimo-Fesmed, che chiedono “che la prossima legge di Bilancio preveda la valorizzazione del lavoro svolto ogni giorno negli ospedali di tutta Italia”.