Alla fine quando c’è da tagliare si finisce sempre lì. L’incidenza della spesa per la sanità sul Pil, tra il 2020 e il 2025, scenderà dal 7,4% la 6,2%, cioè 1,2 punti in meno. È scritto nella Nadef approvata lo scorso 27 settembre dal Consiglio dei ministri. Mentre un italiano su cinque rinuncia alle cure il Governo Meloni scegli di tagliare ancora il Servizio sanitario nazionale.
Fratelli d’Italia prometteva di abbattere le liste d’attesa. Invece sta tagliando le risorse destinate alla sanità di altri due miliardi
“Un atteggiamento gravissimo e incomprensibile che non faremo passare sotto silenzio. – dice la segretaria del Partito democratico Elly Schlein -. Tutte le persone devono sapere che Meloni mentre cerca un nemico al giorno sta smontando pezzo per pezzo il nostro diritto alla salute”. Il responsabile economico del partito Antonio Misiani sottolinea come “per riportare la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil al livello del 2022 (6,7%) servirebbero nel 2024 oltre 10 miliardi in più” e come lo stesso ministro Orazio Schillaci (nella foto) ne abbia richiesti almeno 4. “Ma nemmeno su questo obiettivo minimale il governo Meloni ha preso impegni concreti”, dice Misiani, che sottolinea come la scelta di rivedere il Pnrr tagliando “di oltre un quarto sia le case che gli ospedali di comunità” sia “una scelta politica precisa di disinvestimento e privatizzazione della sanità pubblica”.
Per il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di Palazzo Madama, “per un sistema sanitario già in difficoltà per la cronica mancanza di personale sanitario dovuto a decenni di tagli lineari, con liste di attesa da paese del terzo mondo, con diseguaglianze nell’accesso alle cure e carenze strutturali questi tagli rischiano di essere la pietra tombale del servizio sanitario nazionale, pubblico e universalistico”. Il leader di Azione Carlo Calenda chiede ai partiti di opposizione di fare fare presto fronte comune: “Sanità, scuola e salari sono priorità su cui non possiamo mollare”, è il messaggio per gli altri leader di partito.
Per il Mattarella il Servizio sanitario nazionale sia “un patrimonio prezioso, da difendere e adeguare”
Sulla questione ieri è intervenuto anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella salutando i governatori riuniti a Torino per il festival delle Regioni a Palazzo Reale che ha sottolinea come il Servizio sanitario nazionale sia “un patrimonio prezioso, da difendere e adeguare” auspicando un dialogo “con il Paese e con la società”. Sono lontani i tempi in cui Giorgia Meloni prometteva in campagna elettorale una sanità che offrisse “soluzioni di prossimità, in tempi ragionevoli, e di qualità”, augurandosi perfino “un’autorità Garante della Salute, indipendente a livello amministrativo, con poteri ispettivi e di segnalazione alle autorità competenti, a cui ogni cittadino possa rivolgersi per carenze di qualità o mancato accesso ai servizi”.
Se l’avesse costituita oggi sarebbe sommersa dalle lamentele dei cittadini, gli stessi a cui promette “l’abbattimento dei tempi delle liste di attesa” e “un efficiente sistema di cura territoriale e dall’attenzione a tutte le malattie”. I tagli alla sanità scontentano tutti, dal leghista Massimiliano Fedriga (Friuli Venezia Giulia, presidente della Conferenza delle Regioni) a Stefano Bonaccini, Pd, ai vertici dell’Emilia-Romagna. Del resto lo smantellamento della sanità pubblica è un percorso che parte da lontano. In dieci anni, dal 2010 al 2020, i tagli ammontano a trentasette miliardi di euro, tra ospedali, medicina territoriale, macchinari e personale – costretto alla fuga da una sanità pubblica che paga poco e fa lavorare male.
Negli ultimi dieci anni i medici ospedalieri sono quattromimlaottocento in meno, gli infermieri noovemila, i medici di famiglia e le guardie mediche ottomila. 30.492 in meno sono i posto letti nella sanità pubblica in un decennio mentre i privati convenzionati (che scelgono solo i malati più redditizi) hanno raddoppiato le strutture passate da 445 a 993, ovviamente a carico delle Regioni. Non solo: oltre l’ottanta per cento delle apparecchiature diagnostiche è obsoleto e gli over 65 assistiti a domicilio non sono nemmeno il tre per cento contro quel dieci per cento indicato come minimo sindacale dallo stesso ministero della Salute.
L’ultimo rapporto Crea-Sanità di undici mesi fa aveva lanciato l’allarme: “Il SSN – si leggeva – appare essere arrivato ad un punto di non ritorno… L’ultimo rapporto Crea-Sanità di undici mesi fa aveva lanciato l’allarme: “Il SSN – si leggeva – appare essere arrivato ad un punto di non ritorno: o cambiano le condizioni al contorno o sarebbe colpevolmente ingenuo pensare di poter mantenere il servizio così come è; una pro- gressiva e non governata riduzione dei livelli di tutela genererebbe, infatti, un opting out dei più abbienti, sancendo di fatto la fine del sistema universalistico”.
Per riallinearci alla spesa degli altri Stati membri dell’Unione europea servirebbe quindi una crescita annua del finanziamento di dieci miliardi per cinque anni, circa, più quanto necessario per garantire la stessa crescita degli altri Paesi europei presi a riferimento, ovvero altri cinque miliardi. Il Governo Meloni ha scelto la strada opposta. Un anno dopo, invece, a pagare sono sempre i più fragili.