Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha già messo le mani avanti. La Manovra per il prossimo anno richiederà “scelte difficili”, ha detto. La Nadef ha ridimensionato la crescita dell’economia: quest’anno il Pil si fermerà al +0,8% (dal +1% previsto ad aprile), mentre nel 2024 sarà dell’1,2% (dal +1,5%). Ma lo scenario sulla crescita potrebbe essere rivisto ulteriormente.
Il ministro Giorgetti ha già messo le mani avanti avvertendo che la Manovra per il prossimo anno richiederà “scelte difficili”
A preoccupare, in particolare, sono quattro ipotetiche situazioni ovvero l’andamento più debole del commercio mondiale, un maggiore apprezzamento dell’euro, un prezzo più alto del petrolio e l’allargamento dello spread. In tutti e quattro questi casi si avrebbe una riduzione del tasso di crescita del Pil rispetto allo scenario tendenziale. Al momento per la prossima Manovra c’è solo il tesoretto da 15,7 miliardi ricavato in deficit. Una dote che verrà quasi interamente assorbita dai 14 miliardi necessari per il doppio intervento del taglio del cuneo e della nuova Irpef. Se, come sembra, l’obiettivo è una Manovra leggera da 22-24 miliardi, mancherebbero dunque all’appello ancora 6-8 miliardi.
Dalla spending review, Giorgetti conta di incassare fino a 2 miliardi. Incerti gli incassi dalla tassa sugli extraprofitti mentre tra le ipotesi c’è anche l’anticipo della gara delle concessioni del Lotto. Sul fronte fiscale risorse sono attese dalla potatura delle tax expenditures (fino a 1 miliardo) e dal nuovo rapporto collaborativo con il fisco. Ma le proiezioni, in questo caso, sul gettito rimangono assolutamente aleatorie. Per tutte le altre voci non solo restano briciole ma ci si attendono tagli, dalla sanità alle pensioni. In ballo ci sono anche il rinnovo dei contratti del pubblico impiego e l’adeguamento delle pensioni all’inflazione.
La Nadef certifica l’aumento della spesa per interessi sul debito che sfonderà i 100 miliardi nel 2026
Intanto dalle tabelle della Nadef non arrivano notizie confortanti. Cresce progressivamente la spesa per gli interessi sul debito. Nel 2023 sarà pari al 3,8% del Pil ovvero ad oltre 78 miliardi di euro, nel 2024 si passerà al 4,2% del Pil, ovvero a circa 89 miliardi, nel 2025 al 4,3%, pari ad oltre 95 miliardi, e nel 2026 al 4,6% del Pil, arrivando a 104 miliardi. E cala l’incidenza della spesa per la sanità sul Pil: in 5 anni, tra il 2020 e il 2025, si passa dal 7,4% al 6,2%, cioè 1,2 punti in meno.
E fa paura il prossimo verdetto di Moody’s
Nel medio periodo al 2036, presupponendo una crescita media annua del Pil di circa l’1% la spesa pensionistica è stimata in aumento di 1,9 punti (al 17,3%) rispetto al 2024, a fronte di un aumento di 0,4 punti per la sanità e di un calo di 0,3 punti della spesa per l’istruzione. Mentre le agenzie di rating stanno col fiato sul collo di Giorgetti e del governo. La data cerchiata di rosso è il 17 novembre quando Moody’s deciderà sull’affidabilità dell’Italia.
Uno studio della Oxford Economics boccia le scelte di politica fiscale ed economica del governo Meloni
Illuminante, intanto, è uno studio di Oxford Economics che commenta la Nadef e boccia le scelte di politica fiscale ed economica del governo Meloni. “La decisione di non mantenere un approccio fiscale conservativo renderà i mercati finanziari molto nervosi, con lo spread Btp-Bund che probabilmente rimarrà almeno intorno ai 200 punti base per il resto dell’anno. Inoltre, considerando le discussioni in corso sul nuovo quadro fiscale europeo, questa strategia potrebbe anche giocare a sfavore dell’Italia, portando i Paesi più frugali a chiedere obiettivi più ambiziosi di riduzione del debito”, dice lo studio.
Dopo aver sorpreso per la sua cautela in ambito fiscale nel primo anno di mandato, il Governo italiano sta ora mostrando una diversa attitudine, puntando a un allentamento fiscale di circa l’1% del Pil nel periodo 2024-2026, rileva lo studio, che considera “relativamente ottimistiche” le stime di crescita del Governo, pari all’1,2% del Pil per il 2024, il “doppio della nostra più recente ipotesi”. Le risorse previste verranno usate prevalentemente per tagliare le tasse sul lavoro e alcune imposte sui redditi, ma queste sono misure temporanee in natura ed è difficile non vedere un forte legame con le elezioni europee di giugno, nota ancora lo studio redatto dal capo-economista per l’Italia, Nicola Nobile.
Il problema principale dei numeri fiscali, in ogni caso, non è il deficit ma piuttosto la dinamica del debito, che dovrebbe avere solo una minima riduzione dal 140,2% del Pil nel 2023 al 139,6% nel 2026. Una traiettoria “scarsa” che dovrebbe essere sostenuta da non specificate misure di privatizzazione. Per ora – indica lo studio – il cammino verso la sostenibilità fiscale si è ristretto e recuperare la credibilità fiscale in caso di altre tensioni finanziarie sarà più costoso, impendendo ulteriormente la crescita economica. Oxford Economics prevede una crescita del Pil dello 0,6% per il 2024 e una crescita media per il 2025-26 “un po’ sotto l’1%” contro l’1,2% stimato dal Governo.