Dalla dichiarazione di tre giorni fa di Giorgia Meloni secondo cui grazie al suo governo “l’Italia è più credibile e ascoltata” a livello internazionale e soprattutto nell’Unione europea, alla realtà dei fatti che ci vede sempre più isolati e deboli. Sembra destino per la premier venire regolarmente smentita dopo poche ore, come successo ancora una volta ieri quando a Bruxelles si è consumato l’ennesimo strappo sui migranti con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che ha rinunciato a fare il proprio intervento, preferendo lasciare il Consiglio Affari Interni dell’Ue per fare immediato ritorno a Roma.
Il Patto Ue sui migranti sbugiarda il governo sulle redistribuzioni. Il ministro deve lasciare il vertice in anticipo
Può sembrare incredibile ma questa volta il problema non è stato il mancato accordo per la gestione dei flussi ma l’esatto opposto in quanto è stato trovato un compromesso ma questo non soddisfa affatto l’Italia. Il nodo del contendere è legato al fatto che la nuova proposta, su cui è arrivato il gradimento della maggioranza dei Paesi Ue – con la contrarietà di Austria, Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria -, ha recepito gli input del governo del cancelliere Olaf Sholz soprattutto in merito alla necessità di inserire specifiche tutele per i migranti e sull’esclusione dei salvataggi delle ong dalle situazioni di strumentalizzazione della migrazione che, stando alla normativa, attiverebbero l’emergenza flussi.
Com’è facile intuire si tratta di un vero e proprio smacco per il governo Meloni sia perché il decreto Cutro del ministro Piantedosi ha dato il via a una crociata contro le organizzazioni di volontari che operano nel Mediterraneo, accusate di essere la causa che spinge tanti disperati a partire per un viaggio devastante, e sia perché il più recente decreto migranti ha ulteriormente inasprito le norme relative all’accoglienza.
Tutte ragioni che, secondo quanto trapela, hanno fortemente indispettito il governo italiano e il ministro Piantedosi al punto da convincerlo a battere in ritirata, rinunciando al suo intervento davanti agli omologhi europei per fare ritorno in Italia dove lo attendeva un incontro con i ministri degli Interni di Tunisia e Libia. Una fuga da Bruxelles che di certo non ha migliorato la situazione del nostro Paese, sempre più isolato, e che ufficialmente viene giustificata con la necessità di prendere tempo per poter studiare la proposta finita sul tavolo del Consiglio Affari Interni dell’Ue.
Nella bozza approvata da Berlino neppure una riga sul riparto automatico dei profughi tra i Paesi membri
Ne consegue che la trattativa sul regolamento che dovrà disciplinare le modalità di reazione degli Stati membri in caso di forte pressione migratoria su uno dei Paesi Ue, dopo il lungo stallo registrato in estate per la contrarietà della Germania, torna nuovamente nel limbo per via delle perplessità dell’Italia. Già perché questo provvedimento che la maggioranza da tempo vendeva in patria come un successo del Centrodestra, rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol perché non risolve granché.
Di sicuro non rivoluziona il regolamento di Dublino, come chiede il governo Meloni, e nemmeno crea un meccanismo di redistribuzione automatica tra i Paesi Ue che, di fatto, resterebbe volontaria. Tanto meno il testo parla di una missione europea per sorvegliare le rotte migratorie. Così a conti fatti il rischio è che la novità maggiore sia quella che impone ai Paesi di primo ingresso, come l’Italia, di allungare i tempi della competenza sull’esame delle domande d’asilo che passerebbe da 12 a 24 mesi, di fatto prolungando la permanenza degli stessi sul territorio in cui sono sbarcati.