Tra i “terribili invasori” che spaventano il governo Meloni e attivano i suoi ministri ci sono più di 21 mila minori non accompagnati, bambini e bambine, ragazzini e ragazzine che per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, guidata da Carla Garlatti, non sono “solo numeri, ma persone che hanno bisogni, speranze e paure” e che hanno bisogno di “un sistema di accoglienza strutturato e non emergenziale”.
La garante ha incontrato negli scorsi mesi i ragazzi ospitati nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) gestite dai comuni di Amelia (Terni), Aradeo (Lecce), Bologna, Cremona, Pescara e Rieti. Le visite sono state realizzate in collaborazione con l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), il Servizio centrale, struttura di coordinamento del Sai, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef).
Il rapporto
Dal ciclo di incontri è scaturita la pubblicazione “Ascolto e partecipazione dei minori stranieri non accompagnati come metodologia di intervento”, che riporta il punto di vista dei ragazzi e formula nelle conclusioni una serie di raccomandazioni.
“Non c’è più tempo da attendere per completare l’attuazione della legge 47/2017 – dice Garlatti – il sistema di prima accoglienza deve essere realizzato in maniera strutturale e non più come risposta alle emergenze che di volta in volta si presentano. È inoltre urgente adottare il decreto che disciplina il primo colloquio del minorenne che fa ingresso sul suolo italiano: è un passaggio che si attende dal 2017 e che è fondamentale per assicurare i diritti del minore e per aiutarlo a raggiungere in maniera celere e sicura la sua destinazione”.
“A ogni ragazzo devono essere assicurati tre diritti: la presunzione di minore età, la collocazione in una struttura riservata esclusivamente ai minori e un tutore volontario”. Secondo il report è indispensabile velocizzare le procedure amministrative per ottenere il permesso di soggiorno e rendere uniformi le prassi su tutto il territorio nazionale.
I ragazzi oggi devono aspettare anche sei mesi prima di avviare un percorso di inserimento e questo genera ansie, timori, frustrazioni, oltre che una più generale incomprensione dei meccanismi burocratici. Occorre garantire la presenza, in ogni fase del percorso, di un mediatore culturale che possa colmare le difficoltà di comprendere le procedure e la loro “paura di tornare indietro”.
Tutore volontario
Per le stesse ragioni va assicurata la tempestiva nomina del tutore volontario. Quello della nomina del tutore resta un aspetto critico.
Dall’ascolto dei minori è emerso infatti che ci sono ancora casi nei quali, per la scarsità dei volontari, i tribunali per i minorenni attribuiscono la tutela a sindaci o ad avvocati. Si tratta di figure che, occupandosi di un numero elevato di minori, non possono costituire un reale punto di riferimento nel percorso di integrazione.
Per promuovere “un effettivo processo inclusivo è inoltre fondamentale creare occasioni di socializzazione e aggregazione con la comunità” e agevolare l’apertura di un conto corrente bancario intestato al minore straniero, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme vigenti.
Solo due giorni fa è rimbalzata la notizia del sindaco di Muggia, in provincia di Trieste, che si è ritrovato due minorenni afghani non accompagnati che ha lasciato dormire in un ex studio medico abbandonato “Dove non c’è nemmeno l’acqua”, come ha raccontato il sindaco leghista Paolo Polidori, rimasto in auto tutta la notte per sorvegliarli. I sindaci da mesi lamentano la completa disorganizzazione e lo stato di abbandono in cui si ritrovano a gestire la delicata situazione dei minori non accompagnati.
“Il modo in cui un Paese decide di organizzarsi per proteggere i minori non accompagnati dice molto sul livello complessivo di attenzione alle fragilità e ai minori”, dice il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, delegato Anci all’immigrazione e politiche per l’integrazione.