Ci sono trasmissioni che, anche a distanza di tempo, conservano un posto speciale nella nostra memoria e volti che siamo abituati a conservare nello spazio caro dei ricordi. Ettore Andenna appartiene a quella ristretta cerchia di personaggi che sono il simbolo di un periodo bello e fortunato del mondo della radio e della tv.
I tuoi esordi a Radio Monte Carlo nei primi anni ‘70 hanno dato inizio a tutto. Cosa ricordi con particolare piacere di quel periodo e cosa ti ha insegnato?
“Ricordo come se fosse oggi quel 12 dicembre 1967 quando Barbara Marchand alle 16,45 mi presentò al microfono di RMC dicendo che c’era un nuovo animatore, che si chiamava Ettore, veniva da Milano e mi chiese di presentare il successivo brano in scaletta, era “Mes rêves de satin” interpretato da Patricia, una cantante franco-svizzera. Dalla mattina dopo due ore di diretta senza averlo mai fatto prima di allora. E poi tutta la gavetta. Con il grande capo, il grandissimo Noel Coutisson, che ci lasciava andare a briglia sciolta se facevamo tutto quello che voleva lui, altrimenti erano rimbrotti e sospensioni anche di una settimana intera, che voleva dire non guadagnare perché eravamo pagati a prestazione, la metà di quello che guadagnavano i cugini francesi ai piani di sopra. C’è chi ha resistito e chi no, ma abbiamo cambiato il modo di fare la radio in Italia”.
Il tuo nome è indissolubilmente legato a Giochi senza Frontiere, programma rimasto nella storia della televisione…
“Giochi senza Frontiere non era una trasmissione, era un circo che si spostava in giro per l’Europa, con un’equipe di lavoro internazionale, coesa, formata da grandi professionisti che sapevano adattarsi a qualsiasi situazione con spirito di sacrificio, collaborazione e solidarietà per creare qualcosa che, a detta di molti, è stata la miglior idea di unità europea che ci potesse essere a livello visivo. Sono quello che ne ha presentate di più al mondo, 103 puntate, e non posso negare di averne molta nostalgia”.
Come mai oggi non si fanno più trasmissioni del genere e come vedresti nella tv attuale un format di quel tipo?
“Non fanno più programmi del genere perché dicono che costerebbero troppo. Non è vero! Era una coproduzione internazionale, ogni paese partecipante metteva la propria quota di puntata sotto l’egida dell’Uer (Eurovisione). Se poi consideriamo che le città che giocavano pagavano a loro volta una cifra di partecipazione, perché la promozione che traevano dalla visione europea tornava largamente sotto forma di introiti turistici, le pubblicità e qualche altra entrata (in Italia i Giochi erano abbinati a una lotteria estiva), alla fine tutta la produzione era in pareggio se non con un piccolo guadagno. Oggi la Rai non produrrebbe più lei, si affiderebbe a un esterno che, con il controllo stretto sulle spese dell’Uer, direbbe: “… e io dove guadagno?”. Dalla fine di Giochi senza Frontiere non c’è più la trasmissione estiva. All’estero le televisioni nazionali mandano spesso in onda le repliche, la Rai ha le trasmissioni tutte nelle teche, perché d’estate non le vediamo mai?”.
La tua storia è legata, oltre che alla Rai, anche al boom delle emittenti private come Antenna 3 che, ai tempi, avevano la qualità per competere con le nazionali…
“Ad Antenna 3 rivissi in televisione quello che avevo vissuto agli inizi di Radio Monte Carlo. Un capo lungimirante, Renzo Villa, che raccolse intorno a sé un manipolo di professionisti scelti e disse loro che avevano carta bianca, di fare quello che avrebbero voluto fare, secondo la loro visione dello spettacolo in tv, ma che altrove non avrebbero potuto realizzare. E si cambiò il modo di fare la Tv in Italia. Vedo ancora oggi format che abbiamo inventato noi più di 40 anni fa imperversare sulle più importanti televisioni generaliste italiche. La forza dell’emittente fu di innovare e far partecipare il pubblico per la prima volta facendolo sentire interprete di quello che succedeva in studio. Oggi le locali sono tutte omologate, molte sopravvivono con il sussidio statale, ma nessuna ha il coraggio di fare la vera televisione locale coinvolgendo il pubblico del posto e quindi dando un senso di appartenenza, come se fosse una squadra di calcio che si identifica con un territorio. In America è così e funziona benissimo, c’è sperimentazione e ricerca di novità”.
Cosa pensi della situazione attuale radiofonica/televisiva e cosa ascolti o vedi in tv? C’è un personaggio nel quale rivedi qualche tua caratteristica?
“La situazione attuale radiofonica o televisiva ormai da tempo mi è completamente indifferente e non per snobismo o critica canaglia, ma noia. Nessuno parla dell’emorragia di ascolti, ormai al limite della devastazione, dell’incredibile perdita, soprattutto di giovani, e della rassegnazione della gente. I programmi oggi vengono imposti al pubblico e, giustamente, questo li accetta sempre meno, in particolar modo, sulla “lanterna magica di stato”, come la chiamava Enzo Tortora. Nella prossima stagione, leggendo i giornali, mi sembra di intravedere da parte di Mediaset, con Pier Silvio Berlusconi, un desiderio di rettificare il tiro, con cambiamenti di facce e di linea editoriale, staremo a vedere, mentre dall’altra parte l’impasto è sempre quello. Io ormai guardo film, eventi sportivi che mi interessano e quello che passa la tv della cucina mentre mangiamo la sera e lì comanda mia moglie, ma con volume basso ultra accettabile. Non disdegno, ogni tanto e non per intero, Fiorello e il mio amico Gerry Scotti, Fiorello perché ha veramente una marcia in più e Gerry perché “è dei nostri”, nel senso che mi dà l’impressione di preoccuparsi ancora di trasmettere qualcosa a chi guarda e poi è quasi della mia generazione, quando la sensazione del pubblico te la facevi scorrere sulla pelle, nel cervello e nel cuore”.