Da sedici mesi si parla di guerra in Ucraina e del suo possibile allargamento all’Occidente che consisterebbe nel ‘game over’ globale. Eppure quelle che sono state soltanto congetture, da due giorni sembrano essere diventate molto concrete a seguito della caduta in Romania, Paese appartenente alla Nato, di alcuni droni russi per i quali sembra sia stata valutata perfino la richiesta di attivare l’articolo 5 del Patto Atlantico. Insomma un clima infuocato dove una minima scintilla potrebbe portare al disastro e che per questo dovrebbe convincere tutti – dall’occidente e fino alla Russia – a provare a calmare le acque, anziché gettare benzina sul fuoco come ha fatto ieri il segretario della Nato, Jens Stoltenberg.
Proprio quest’ultimo, infatti, ha pensato bene di sfottere la Russia per poi lasciarsi andare a dichiarazioni sulla vittoria dell’Ucraina che sembrano smentite dagli stessi generali di Kiev. Che in tempo di guerra la propaganda sia un’arma micidiale lo hanno capito tutti, quello che forse non è chiaro è che nei momenti di massimo stress, ossia quando la situazione rischia di precipitare magari per un banale incidente, i vertici politici e militari dovrebbero soppesare le parole.
Parole in libertà con la terza guerra mondiale dietro l’angolo
Qualcosa che evidentemente non sembra interessare a Stoltenberg che ieri, davanti alla commissione Esteri del Parlamento europeo, ha detto che “non abbiamo indicazioni di un attacco intenzionale della Russia in Romania e aspettiamo i risulti delle indagini”. Subito dopo ha iniziato a punzecchiare il Cremlino: “L’esercito russo era il secondo più forte nel mondo e ora è il secondo più forte in Ucraina: la realtà è che gli ucraini stanno superando le aspettative un’altra volta e il nostro dovere è sostenerli”.
Poi il segretario della Nato ha affrontato il tema della controffensiva ucraina affermando: “Non abbiamo mai pensato che sarebbe stata facile. I russi hanno preparato linee di difesa multiple: non abbiamo mai visto nella storia così tante mine come in Ucraina. Ma Kiev sta guadagnando terreno, circa 100 metri al giorno”. Ammesso che l’avanzamento ci sia davvero e che sia realmente quantificabile in ‘100 metri al giorno’, allora c’è da chiedersi quanti anni ci vorranno per riconquistare tutto il Donbass come raccontano Volodymyr Zelensky e soci.
Per non parlare del fatto che la controffensiva non può durare all’infinito e che presto o tardi dovrà cedere il passo alle contromosse dei russi. Insomma un ottimismo che appare fin troppo eccessivo, specie se si considera quanto ha detto due giorni fa il comandante delle forze ucraine di terra, Oleksandr Syrskyi, che ha spiegato come l’avanzata procede molto lentamente perché le forze armate di Kiev stanno affrontando una “situazione difficile sul fronte orientale”, precisando che comunque “non abbandoneremo Donetsk e Luhansk”.
Poca diplomazia sul campo
Quel che è certo è che la situazione sul campo sembra abbastanza statica al punto che numerosi analisti parlano apertamente di uno stallo. Se è vero che la controffensiva ucraina procede molto lentamente e sembra più un insuccesso che altro, altrettanto vero è che la Russia ha cessato ogni tentativo di avanzamento e si limita a martellare il territorio ucraino con la solita pioggia di missili. Attacchi brutali che soltanto ieri hanno investito ben 10 regioni ucraine, causando la morte di almeno 19 persone e il ferimento di altre 48. Uno stallo sul campo bipartisan che dovrebbe convincere l’occidente e la Cina a fare pressioni su Russia e Ucraina al fine di provare a riaprire i canali diplomatici e mettere fine, in qualche modo, a questa insensata guerra di invasione scatenata da Mosca.