Davanti allo smantellamento del welfare, al ricambio generazionale pressoché bloccato e alla penuria di offerte di lavoro, per i giovani è sempre più difficile trovare un impiego e, soprattutto, una paga dignitosa. Tutte ragioni per le quali tanti ragazzi – identificati nella fascia under 35 – hanno tirato a campare grazie al Reddito di cittadinanza oppure sono stati costretti ad emigrare, mentre i pochi fortunati che hanno trovato lavoro hanno dovuto fare i conti con salari da fame e di gran lunga inferiori rispetto a quelli percepiti dai loro genitori quando avevano la loro stessa età.
Si tratta del segreto di Pulcinella eppure passano gli anni ma la situazione non migliora, semmai peggiora. A dircelo sono una sterminata serie di studi tra cui quello del Consiglio nazionale dei giovani e di Eures che mette in evidenza le difficoltà degli under 35 e dipinge un quadro desolante delle loro prospettive di vita. Stando ai dati del rapporto intitolato ‘Nuove professioni e nuove marginalità’, emerge che “oltre ad avere più frequentemente contratti di lavoro precari” i giovani adulti italiani “mostrano livelli retributivi insoddisfacenti e continuano a confermare tassi occupazionali molto più sfavorevoli rispetto alla popolazione complessiva e ai propri coetanei europei”.
I genitori guadagnavano di più. Nel 1985 il divario salariale era pari al 15% mentre ora supera il 30%
Con riferimento ai contratti, “i dati Inps relativi ai lavoratori dipendenti del comparto privato non agricolo mostrano come tra i lavoratori under 35 l’incidenza dei contratti a tempo determinato sia più che doppia rispetto a quella dei lavoratori più maturi, con risultati pari, rispettivamente, al 23,5% e al 10,7% (dati al 2020)”. Categoria, quella dei giovani, dove è “maggiore la diffusione del tempo parziale, a cui sono inevitabilmente associati livelli retributivi inferiori” tanto che lo studio sostiene che “circa un lavoratore under35enne su tre aveva un contratto part-time” a differenza degli over 50 dove il dato scende a “uno su quattro”.
Alla luce di questi dati, appare evidente che siamo davanti a un’emergenza sociale. Il problema è che l’attuale maggioranza sembra non accorgersene visto che continua imperterrita a raccontare la frottola secondo cui i salari bassi dei giovani sono causati dalla loro mancanza di esperienza e dalla necessità di fare gavetta. Una tesi smontata da Pagellapolitica secondo cui “è normale che le retribuzioni dei lavoratori più anziani siano più alte rispetto a quelle dei giovani” in quanto “l’esperienza fa la sua parte, così come il sistema tramite cui si stabiliscono le paghe, che, soprattutto in Italia, tende a premiare chi rimane nella stessa azienda a lungo (i famosi scatti di anzianità).
Ma questo non significa che i giovani di oggi debbano affrontare le stesse difficoltà salariali dei loro genitori”. Insomma “le ultime generazioni sono state più svantaggiate rispetto a quelle precedenti” come dimostrato dai “risultati preliminari di una ricerca condotta da due economisti italiani, Nicola Bianchi (Northwestern University) e Matteo Paradisi (Einaudi Institute for Economics and Finance)” in cui affrontano il tema dell’aumento del divario salariale tra giovani e anziani.
“Nel 1985 il salario annuo mediano di un lavoratore con più di 55 anni di età era più alto del 15 per cento rispetto a quello di un lavoratore con meno di 35 anni di età. Nel 2019 questo divario era superiore al 30 per cento. Ricordiamo che il salario mediano è quello che si trova a metà della distribuzione dei salari: il 50 per cento dei lavoratori guadagna di più, il 50 per cento di meno” si legge nel rapporto.
Secondo Pagellapolitica è evidente che i giovani lavoratori italiani stanno peggio rispetto a 35 anni fa non solo perché guadagnano meno in rapporto ai più anziani, ma perché sono più poveri” visto che “la percentuale di giovani che si trova nel 5 per cento della popolazione che guadagna meno è aumentata di quasi il 4 per cento tra il 1985 e 2019, mentre i lavoratori con meno di 35 anni che guadagnano abbastanza da rientrare nel 5 per cento più abbiente sono diminuiti dello 0,5 per cento”.
Altro problema è quello legato alle possibilità di carriera per i giovani che “languono anche a causa della ridotta dimensione delle imprese italiane: il 95 per cento ha infatti meno di dieci dipendenti. Se le posizioni sono poche, diventa difficile trovare spazio per fare carriera”. Insomma per i giovani, lavorare assomiglia sempre più a un incubo ad occhi aperti.