Caivano non è perduta. Ma ora per salvarla si combatta davvero

In Italia sono troppi i quartieri abbandonati all’illegalità. Un'imperdonabile resa alla delinquenza.

Caivano non è perduta. Ma ora per salvarla si combatta davvero

Ogni parola scritta o parlata sullo stupro delle cuginette di Caivano acuisce, accompagnata da inevitabile sgomento, una rabbia feroce che indurrebbe in modo belluino a infliggere violenza ai mostri che si sono macchiati di questo orrore, la maggior parte dei quali minorenni.

Ma sappiamo che questa non è la via e che alla barbarie bisogna rispondere nutrendo quella fame di giustizia e legalità che sempre deve essere viva in noi cittadini e che le istituzioni devono placare. Cosa che evidentemente sinora non è accaduta. Se a Parco Verde vigono le leggi della criminalità e delle spaccio, se negli anni sono emersi reiterati casi di pedofilia di cui uno costato la vita alla piccola Fortuna e se la madre di una delle due cuginette arriva a dichiarare “per salvare i bambini dobbiamo lasciare questo posto” vuol dire che lo Stato ha fallito e che noi tutti abbiamo delle colpe.

Nessun quartiere è terra di nessuno. A meno che lo Stato continui a fuggire

Le indagini che hanno condotto alla reclusione di incalliti pedofili trovano nei bambini il loro punto di svolta, tessere di un mosaico infernale che loro hanno fornito con quel coraggio – in parte figlio dell’ inconsapevolezza – che manca agli omertosi adulti. Gli stessi che stanno disertando le messe di Don Patricello per paura delle ritorsioni da parte dei clan. Nessuno vuole qui condannare la paura ma aiutare semmai chi la vive a uscirne fornendo la protezione necessaria, ma esistono valori per cui varrebbe la pena dare la vita.

Risvegliare le coscienze, dare vita a movimenti civici collettivi in nome di una Caivano libera (dove “Caivano” diventa simbolicamente qualsiasi luogo che sfugga alla legalità) e non solo quando si accendono i riflettori su casi di cronaca inenarrabili, vuol dire non arrendersi e indignarsi ancora. Combattere.

Il bivio non può essere tra restare in un territorio di delinquenza venendo assoldato dalla malavita (o tacendo, che poi è ancora un modo di essere assoldati), o abbandonare quel territorio. La vera sfida è restare in quella realtà cambiandola da dentro – attraverso l’enorme forza civica di coscienze da sottrarre alla rassegnazione con uno Stato che investa in servizi stanziando risorse e spendendole al meglio.

In Italia sono troppi i quartieri abbandonati all’illegalità. Un’imperdonabile resa alla delinquenza

Perché gli assistenti sociali erano meno di un terzo di quelli previsti? Lo si sapeva, eppure non si è fatto nulla. Perché era stato raccontato anni fa al Capo dello Stato che per andare a scuola un ragazzo doveva attraversare ogni mattina cinque Piazze dello spaccio e non è stato fatto nulla?

Queste domande non trovano risposta nell’eccezionalità della bonifica annunciata dalla premier Meloni, che pure ha fatto bene a garantire la sua presenza a Caivano accettando l’invito di Don Patriciello. Se ci appelliamo alla nostra diretta conoscenza del territorio italiano, quante sono le Caivano che ci vengono in mente? Sicuramente troppe.

Tante sono le aree abbandonate al degrado, per giunta con la presenza di minori, che sono ormai considerate “battaglie perse”, o da non combattere più perché tanto, alla fine, vincono loro: i criminali, gli stupratori, i pedofili. Quella terra di nessuno dove l’abominio trova dimora non è un luogo immaginario, ma è la nostra Italia. Liberiamola e difendiamola.

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