Il caso Vannacci e la manovra

L'insostenibile unità delle destre di lotta e di governo. Il caso Vannacci e la manovra. Comincia a svanire il bluff identitario.

Il caso Vannacci e la manovra

Per le destre di lotta e di governo si avvicina il bivio più insidioso. Il gioco di promettere soldi a tutti rispettando i vincoli di bilancio, o di indossare al governo una veste istituzionale senza però dimenticare il vecchio elettorato euroscettico, anti-Nato, post fascista e razzista, non funziona più. Così tra i partiti della maggioranza, e all’interno degli stessi, tutti i nodi vengono al pettine.

L’insostenibile unità delle destre di lotta e di governo. Il caso Vannacci e la manovra. Comincia a svanire il bluff identitario

Partiamo dalla manovra. La coperta delle risorse economiche è decisamente corta e le esigenze del Paese esponenzialmente cresciute: dal lavoro che non c’è, che poi quando c’è è povero, sino ad arrivare ad una sanità che diventa sempre più un affare da ricchi e non un diritto di tutti. Solo per citare alcuni dei tanti capitoli di spesa di una manovra che nella sua formale ed edulcorata definizione si preannuncia “complicata” e che, calata nella realtà, si traduce in un drammatico “meno servizi, meno tutele”.

Certo è che si tratta della prima vera manovra meloniana (quella precedente è stata varata nel confortevole solco tracciato da Draghi) e sarà difficile giustificare le fisiologiche difficoltà che governare porta con sé con quelle periferie drammaticamente provate dal disagio e dalle quali la Meloni, così come in parte minore gli alleati di coalizione, hanno tratto consenso e forza elettorale. È gente che cerca lavoro dignitoso, scuole efficienti e la possibilità di potersi curare senza che vi siano interminabili liste di attesa che crescono spesso di pari passo all’aggravarsi delle patologie.

Insomma, cittadini che vorrebbero che la Costituzione fosse onorata dall’azione di governo e dai rappresentanti delle istituzioni che dovrebbero esserne illustri servitori. In questo scenario, con le iniziative dell’opposizione che raccolgono favore tra la gente e nei sondaggi (basta vedere il traguardo di 300.000 firme a sostegno dell’introduzione del salario minimo), avanza anche la tensione interna al governo che avendo raccontando la storiella del “la sinistra e spaccata, noi siamo uniti” ha la vitale necessità di mostrarsi compatta ma non ci riesce.

Se due indizi fanno una prova, basta mettere insieme due casi apparentemente isolati come la decisione della norma sull’introduzione degli extraprofitti delle banche e l’apparentemente meno rilevante “caso Vannacci”, che però pone delle questioni di non scarsa importanza, per capire come gli alleati non se la passino bene. Nel primo caso, una Meloni decisionista si intesta la misura – con il beneplacito di Matteo Salvini (ma non di Giorgetti, assente peraltro nella devastante conferenza stampa) – estromettendo completamente Forza Italia che ora chiede legittimamente di apportare correttivi (come ad esempio quello della salvaguardia delle banche territoriali, per citarne uno).

Nel secondo, la posizione del Ministro Crosetto pare in bilico tra il “flirtare” attendista (“prima leggo il libro”) di Salvini con il generale e il silenzio della Meloni che ha il sapore di un “vorrei parlare, ma non posso”. Se la Giorgia combattiva sedesse ancora ai banchi dell’opposizione, che uso pensate farebbe in prima persona di questa vicenda? Quello di una bandiera per attaccare la sinistra della censura e del pensiero unico.

Quello che in sostanza stanno facendo per lei figure di primo piano in Fratelli d’Italia come Donzelli. E allora, ecco il cerchiobottismo, Crosetto (che pure alla Meloni è vicino) appare l’istituzionale cauto, mentre Donzelli il barricadero accanito. Un tentativo di coprire tutte le esigenze: non ledere il profilo governativo agli occhi dell’Europa dove bisogna acquisire e consolidare credibilità (gay e migranti, sono voci “altamente sensibili”) e continuare a parlare “alla pancia” del proprio elettorato a cui si da in pasto sempre di un nemico da aggredire, anziché soluzioni concrete ai problemi da cui è afflitta.

Così Salvini, che siede al governo ma non ne è il capo, si sente più libero di occhieggiare a quel mondo con tanto di immaginabile (e comprensibile) irritazione della Meloni. Del resto le europee sono sempre più vicine e con una manovra difficilmente digeribile dai cittadini, ci vuole chi getti benzina sul fuoco dell’intolleranza per provare a racimolare qualche voto non “per qualcosa” (fatta, o da fare), ma contro qualcuno da combattere.