Dalle consulenze all’estero al ministero, e ora al comando di Fratelli d’Italia e Lega unificate. È un percorso sorprendente quello di Adolfo Urso, che ieri in un colpo solo ha sputtanato le promesse più solenni della Meloni e di Salvini, riferendo candidamente che il taglio delle accise sui carburanti non si può fare. Chi decide è Urso, insomma, e non i leader che pensavamo. Certo, non è una novità che le sparate elettorali del capo del governo e del suo vice finiscano sbugiardate, ma a sentire il ministro delle Attività produttive la cancellazione delle tasse sulle benzine è assolutamente impraticabile perché i ricavi previsti sono già stati dirottati altrove.
Con questi soldi, infatti, si è tagliuzzato il cuneo fiscale, lasciando qualche euro in più negli stipendi netti dei lavoratori. Ma chi va con l’auto in ufficio restituirà tutto allo Stato, e pure chi non ha una busta paga darà del suo, visto che le tasse indirette le scuciono allo stesso modo i ricchi e i poveri. Silenzio, invece, su come affrontare sul serio lo scandalo di accise storiche che sono un’entrata strutturale per l’Erario. Un fardello che pesa sulla competitività del Paese, costringendoci a costi tra i più alti d’Europa per spostare persone e merci.
Sul totale della spesa pubblica, circa mille miliardi l’anno, i risparmi possono essere tanti, a cominciare dalla selva di contributi accumulata in decenni dalle lobby delle imprese, ma ad oggi gli unici sacrificati sono i poveri cristi a cui è stato tolto il Reddito di cittadinanza. L’unica promessa che le destre sono riuscite a mantenere.