Se fosse vero l’adagio di Voltaire secondo il quale “la civiltà di un Paese è data dalle condizioni delle sue carceri”, saremmo un Paese incivile senza possibilità di redenzione. Se a questo aggiungiamo un ministro della Giustizia, Carlo Nordio, incapace di esprimere anche il cordoglio minimo, allora siamo pure un Paese buio.
Negli ultimi giorni, come accade ciclicamente, si è tornato a parlare del binomio carcere-morte. Susan John è morta di fame e di sete. Era in carcere da febbraio, accusata di spaccio. Le carceri italiane sono zeppe di ladri di polli mentre i poteri criminali si possono permettere di lambire le pene. Aveva 42 anni, due figli, il più piccolo di 4 anni e per venti giorni (20!) si è rifiutata di mangiare e di bere e lo Stato italiano non se n’è accorto.
La morte di Susan John era evitabile. Dal carcere si giustificano dicendo che la donna avrebbe rifiutato il ricovero in ospedale. Nessuno dei garanti però era stato informato e forse se fossero stati mobilitati gli psicologi, gli educatori o i volontari sarebbe stato più facile comprendere e risolvere le motivazioni di quel gesto.
Carcere, il cinismo disumano di Nordio
Nel carcere di Torino è volato il ministro Carlo Nordio, con il piglio che s’è dipinto addosso, duro e decisionista. La preoccupazione primaria del ministro è stata quella di assicurarsi che Susan John non ce l’avesse “con il governo”.
Ha detto che le circostanze e la ragione della morte sono “dettagli tecnici” che non ha approfondito, sfoderando un cinismo disumano che aizzerebbe una rivolta popolare se questo Paese non fosse narcotizzato dalla vendetta e dal dolore.
Poi ha paragonato la morte della detenuta al suicidio di Hermann Göring, il gerarca nazista delle SS che inghiottì una capsula di cianuro durante il processo di Norimberga. Il suicidio di un gerarca nazista paragonato allo strazio di una donna sfibrata dalla fame e dalla sete perché voleva vedere il figlio è il punto più basso di un ministro che avrebbe voluto essere l’idolo del garantismo. L’orrore non sembra fare rumore.
Anche nelle minoranza, esclusi i soliti, avventurarsi a parlare di carcere viene considerato sconveniente: i nostri carcerati non portano voti, non gestiscono poteri, non hanno amicizie importanti. Di solito quelli stanno tutti fuori.
Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonella, prova a tenere il punto: “Il Ministro Nordio, in visita al carcere di Torino dopo la morte di due donne detenute nell’istituto di pena, avvenuta nella giornata di ieri, – scrive Gonnella – è tornato a proporre alcune soluzioni che da tempo sia lui che altri non esponenti del governo avevano avanzato. In particolare il Ministro ha parlato ancora una volta di edilizia penitenziaria e, ancora una volta, va ribadito che non servono più carceri, ma servono carceri piene di attività e attenzione per le persone detenute. Oggi in tutte le strutture si registrano assenze di personale: dai direttori, agli agenti penitenziari, agli educatori, fino a medici, psicologi, psichiatri, mediatori culturali. In questo modo chi è in servizio fa fatica e le persone detenute non possono ricevere le attenzioni che richiederebbero e nei tempi certi che meriterebbero”.
Le celle infernali
Con l’arrivo dell’estate si moltiplicano i suicidi in carcere. Il caldo è uno dei fattori che impattano maggiormente sulla qualità della vita negli istituti penitenziari, qualità della vita già non elevata neanche negli altri periodi dell’anno. A questo si aggiunge poi la chiusura di molte attività e quindi una situazione di ulteriore e sostanziale isolamento. Al prossimo morto potremo semplicemente dirci che “è successo anche a Göring”. Che qui avrebbe potuto diventare sottosegretario.