Una delle sue ultime battaglie era contro il sindaco leghista di Ventimiglia Glavio Di Muro che aveva negato ai migranti perfino l’acqua del cimitero, che utilizzavano per dissetarsi e ristorarsi nel caldo. “Regime fascista”, dove “un essere umano non ha neanche la dignità di un topo”, ha scritto Michela Murgia. E ancora: “Hai negato la più elementare dignità umana a persone senza niente altro che l’acqua del cimitero”. In quell’occasione era accorso baldanzoso il parlamentare di Fratelli d’Italia Gianni Verrino: “In tutte le civiltà, anche in quelle meno evolute, il culto, il rispetto, il ricordo dei defunti è sacro. Ovunque. Incommentabile l’esternazione di Michela Murgia su Ventimiglia e sul sindaco”.
Più che diverse, incompatibili
Ora Michela Murgia è morta, “il sacro rispetto dei defunti” è un’acquasantiera di piscio di quelli che esultano e a dissertarsi nel cimitero ci corrono loro, i politici, nella speranza che le condoglianze pronunciate a denti strette possano normalizzare l’allarme che Murgia ha lanciato fino all’ultimo. “Voglio esprimere sincere condoglianze alla famiglia e agli amici della scrittrice Michela Murgia – ha scritto su Twitter la presidente del Consiglio Giorgia Meloni –. Era una donna che combatteva per difendere le sue idee, seppur notoriamente diverse dalle mie, e di questo ho grande rispetto”.
Condoglianze respinte, glielo possiamo assicurare. La “famiglia” a cui si rivolge Giorgia Meloni ha una forma che lei riterrebbe illegale e amorale. Il rispetto per le “idee” della scrittrice che la presidente del Consiglio mima nel suo messaggio è carta straccia. Michela Murgia riteneva questo governo (Meloni inclusa) un governo fascista nei modi, nelle azioni e nelle parole. Le idee non sono “diverse”: sono incompatibili, su fronti opposti. Meloni avrebbe potuto serenamente soprassedere sulla morte della scrittrice come le capita ogni volta che non trova le parole. Anche in questa occasione le parole non le ha trovate.
Una preghiera… bestiale per Michela Murgia
Risulta quasi meno disdicevole il senatore Matteo Salvini, mandante del fango che Michela Murgia ha dovuto scrollarsi di dosso per anni. “Una preghiera”, scrive Salvini. Prega dopo avere usato la scrittrice come combustibile per la rabbia insaziabile dei suoi adorati follower ammaestrati dalla Bestia della sua propaganda. Questa volta il ministro non ha frugato per trovare una foto in cui Michela apparisse sformata. Si è contenuto in nome della “sacra defunta” ma non ha rinunciato a fare un giro nel cimitero di Michela per collezionare qualche like.
Il cofondatore del Family Day Simone Pillon, che giusto qualche settimana fa con diabolica perfidia aveva augurato a Murgia una “buona guarigione” ora si atteggia da martire: “Non sapevo che la situazione fosse già compromessa – ha scritto Pillon – pensavo e speravo ci fosse ancora margine di guarigione. Mi spiace. Non condividevo nulla del tuo pensiero ma avrei voluto continuare a confrontarmi con te, come abbiamo fatto tante volte”. C’è una definizione di Pillon nel suo Vangelo: farisei ipocriti, li chiamava Gesù.
Dissentire e… detestare
L’editorialista de La Verità Daniele Capezzone ricorda Murgia dicendoci che “si può dissentire profondissimamente senza tuttavia detestarsi” e dichiarandosi dispiaciuto della sua morte. Lui è uno dei tanti che il detestare l’ha reso una linea editoriale, quando Michela Murgia era l’osso da lanciare ai cani. Il lutto simulato della destra che odiava Michela Murgia ha un unico obiettivo: suggellare la fine della lotta con lei che li chiamava per nome. Non sanno che Michela Murgia ha già distribuito le responsabilità.