E alla fine – obtorto collo – le scuse sono arrivate. Il responsabile comunicazione della Regione Lazio e portavoce del governatore Francesco Rocca, Marcello De Angelis, qualche giorno fa aveva fatto un lungo post su Facebook pronunciandosi sulla strage di Bologna e, più nel dettaglio, sui responsabili della tragedia.
Dopo le polemiche il capo della comunicazione di Rocca, De Angelis, fa mea culpa. Aveva difeso i responsabili della strage di Bologna
C’è una sentenza definitiva, dopotutto, che riconosce la responsabilità del gesto stragista agli ex Nar Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. E invece De Angelis scrive altro, dicendo – in soldoni – di sapere con certezza che non sono loro i responsabili. “E in realtà lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e ‘cariche istituzionali’. E se io dico la verità, loro, ahimè, mentono. Ma come i martiri cristiani io non accetterò mai di rinnegare la verità per salvarmi dai leoni”.
Alla fine, però, viste le enormi polemiche che sono nate sul caso (nel totale silenzio di Fratelli d’Italia che, con note ufficiali, ha deciso di non pronunciarsi sul caso, se non in ritardo), De Angelis una parziale retromarcia l’ha fatta. “Negli ultimi giorni – ha scritto ieri – ho espresso delle riflessioni personali sul mio profilo social, che sono invece diventate oggetto di una polemica che ha coinvolto tutti. Ho il dovere di fare chiarezza su affermazioni che possono essere fraintese per l’enfasi di un testo non ponderato, ma scritto di getto sulla spinta di una sofferenza interiore che non passa ed è stata rinfocolata in questi mesi”, scrive.
Subito dopo, però, va all’attacco: “I colleghi giornalisti che quotidianamente e pubblicamente mi definiscono un ex terrorista – pur nella consapevolezza del fatto che non sono mai stato condannato per nessun atto criminale o gesto di violenza – infangano il mio onore e mi negano la dignità di una intera vita. Perché un terrorista è una persona schifosa e vile”.
Per i meloniani chiedere le dimissioni di un giornalista è da sovietici. Pure se ha “assolto” tre stragisti
In realtà De Angelis, già militante di Terza posizione – una delle organizzazioni eversive neofasciste attive negli anni di piombo – è stato condannato in via definitiva nel 1989 a cinque anni di reclusione per associazione sovversiva e banda armata, scontandone tre. Molti ex membri di Terza posizione passeranno alla lotta armata unendosi ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari a cui appartenevano Mambro, Fioravanti e Ciavardini: quest’ultimo è il cognato di De Angelis, avendo sposato sua sorella germana.
In ogni caso De Angelis ricorda come il dubbio sulla verità giudiziaria sulla strage sia stato “alimentato negli anni dagli interventi autorevoli di alte cariche dello Stato come Francesco Cossiga e magistrati come il giudice Priore e da decine di giornalisti, avvocati e personalità di tutto rispetto che hanno persino animato comitati come “E se fossero innocenti?””.
Pur premettendo di avere “il massimo rispetto” per la magistratura e per le vittime degli anni di piombo, l’ex militante di Terza posizione scrive di ritenere “che tutti abbiano diritto a una verità più completa possibile”. E conclude: “Ribadisco le mie profonde scuse nei confronti di chi io possa aver turbato esprimendo le mie opinioni”.
Ovviamente resta il dato politico con le opposizioni e pezzi importanti della società civile che hanno chiesto le dimissioni e Giorgia Meloni che, invece, ha preferito trincerarsi dietro il silenzio. Rimane l’imbarazzo per delle dichiarazioni che hanno fatto sobbalzare sia le altre forze di maggioranza che il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha sottolineato come le verità giudiziarie vadano rispettate. Resta però la linea del partito, per cui chiedere il licenziamento di De Angelis è da mentalità “comunista” e “sovietica”, anche perché rispettare le sentenze non vuol dire interrompere la ricerca della verità.
Sono questi gli appunti presenti – secondo quanto apprende l’Adnkronos – in “Ore Otto“, l’opuscolo interno di Fdi con la linea da seguire: un vademecum giornaliero ideato dalla comunicazione per aiutare i parlamentari a districarsi tra i principali temi di attualità. Per il partito, pertanto, è sbagliato invocare la testa di De Angelis: “Chiedere il licenziamento di un giornalista che manifesta la propria opinione, del tutto personale, su una qualunque vicenda è prova che la cultura sovietica e comunista della censura alberga ancora nelle menti di molti”. Sarà. Qualcun altro lo chiamerebbe “revisionismo nero”.