Sta facendo discutere la modifica al Pnrr voluta dal governo Meloni. Tra i progetti definanziati ce ne sono alcuni che riguardano la gestione del rischio idrogeologico. Massimo Gargano, direttore generale dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi), tutto ciò la sorprende?
“No, onestamente no. Prendo atto da cittadino e come figura impegnata in materia che c’è una progettualità che non è riuscita ad essere coerente con quelli che sono gli obiettivi del Pnrr e i suoi tempi. Detto questo voglio essere ottimista perché avendo identificato i problemi e avendone definanziati i progetti ad essi collegati, ora si apre un’opportunità per tutto quel sistema trasversale al mondo della produzione che è pronto e che magari in passato ha visto la propria progettualità non premiata come doveva e poteva essere. Le faccio un esempio, noi del Consorzio di bonifica abbiamo avuto finanziati molti progetti ma molti di più sono quelli che non sono stati finanziati, nonostante fossero ammissibili. Per questo io non faccio drammi e vedo un’opportunità che il Paese deve sapere cogliere. Credo fortemente che nel momento in cui ci sono 144 obiettivi che valgono 16 miliardi e che non riescono ad essere coerenti con le scadenze del Pnrr, ossia dicembre 2023 per gli impegni delle risorse e dicembre 2026 per la loro rendicontazione, il Paese è chiamato a una sfida ancora più grande per utilizzare tutte quelle risorse che per nessuna ragione al mondo devono andare sprecate”.
Crede che si stia sottovalutando il problema del cambiamento climatico malgrado lo stesso sia evidente a tutti e che perfino il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, abbia più volte richiamato la politica ad agire?
“Non vedo sottovalutazione del problema, glielo dico con grande franchezza. Questo perché parliamo di risorse che sono state assegnate dalla passata legislatura e perché c’è stato un tempo molto lungo in cui non si è riusciti a portare a casa questi obiettivi. Però mi lasci dire che su questa vicenda immaginare che si possano dare voti e pagelle sia un modo di fare sbagliato. A mio avviso l’errore è stato fatto a monte quando a qualche amministrazione comunale, funestata dal blocco delle assunzioni e spesso non sufficientemente strutturata per fare le cose che gli venivano richieste, sono state affidate risorse che oggettivamente non potevano essere spese. Oggi, però, non è il tempo delle polemiche perché tutti noi dobbiamo lavorare per portare a casa questo Pnrr”.
Eppure poco prima dell’annuncio di Fitto in merito alle modifiche del Pnrr, la Meloni aveva detto di voler presentare un piano contro il rischio idrogeologico. È tutto normale?
“Quando si mettono a rischio 16 miliardi di euro per l’occupazione italiana, per la sicurezza dei residenti, per l’acqua a cittadini e imprese, non può essere tutto normale. Oggi, però, ci troviamo di fronte oggettivamente a un problema che per noi addetti al settore non è nuovo, ossia che la nostra nuova normalità è quella che stiamo vivendo. La liturgia che dobbiamo evitare, lasciandocela definitivamente alle spalle, è quella della dichiarazione dello stato di calamità, regionale o nazionale che sia, perché non serve a nulla visto che ristora soltanto il 10% dei danni. Ribadisco: dobbiamo lavorare tutti insieme per spendere queste risorse, altrimenti arretriamo. E non ce lo possiamo permettere”
Davanti al cambiamento climatico e al perdurante rischio idrogeologico, quali proposte vorreste far arrivare alla premier?
“Guardi sono tre punti. Il primo, di cui c’è assoluto bisogno, è effettuare una manutenzione nazionale straordinaria di tutto il territorio italiano. Noi gestiamo un reticolo secondario fatto di 251mila chilometri di canali. Quest’ultimi sono quotidianamente assediati dal consumo del suolo abusivo e regolamentato, dall’incuria e dall’ignoranza di chi li usa come discariche. Così non possiamo continuare. L’intero sistema poi va mantenuto e monitorato nel tempo così da rispondere ad eventuali criticità che possono verificarsi. La seconda operazione che va fatta è un grande piano nazionale di infrastrutturazione del Paese. Un mese fa parlavamo di siccità, ventinove giorni fa abbiamo parlato di alluvioni e oggi di nuovo di siccità. Davanti a questa nuova normalità dobbiamo adottare misure nuove e innovative. E guardi che non parliamo di un progetto impossibile, anzi noi di Anbi abbiamo già dato indicazioni su dove intervenire. Ad esempio con il piano laghetti, elaborato con Coldiretti, per realizzare 10mila invasi senza utilizzare cemento e che saranno capaci di produrre energia dal fotovoltaico e dall’idroelettrico, di ricaricare la falda acquifera e di contrastare il cuneo salino. Sempre nell’ambito dell’infrastrutturazione dobbiamo anche mettere in piedi meccanismi capaci di rimettere in sesto le nostre dighe che oggi sono piene di sedime e pietre. La terza questione è l’innovazione, di cui abbiamo assoluto bisogno. Deve sapere che buttiamo a mare 9 miliardi di acqua reflua all’anno. Il problema è che quest’acqua potrebbe essere trattata dagli impianti di depurazione, su cui dobbiamo investire molto, così da raccoglierla e usarla laddove possibile anziché buttarla”.
Perché, secondo lei, la politica italiana è abituata a vivere di emergenza?
“Guardi è molto semplice. Stando ai dati Ance, progettare e realizzare un’opera richiede mediamente undici anni. Una legislatura ne dura cinque. La realtà è che chiunque mette in campo un’opera pubblica, sa che non la inaugurerà. Mentre una bella dichiarazione di stato di calamità naturale, con viso compunto e occhi lucidi, probabilmente crea del consenso”.
A suo parere abbiamo ancora tempo per discutere di misure per affrontare il cambiamento climatico e il rischio idrogeologico oppure è giunto il momento di agire?
“Oggi si deve solo fare perché non c’è nulla su cui discutere. Abbiamo una conoscenza del territorio che definirei ‘molecolare’ grazie all’intelligenza artificiale, ai droni e ai satelliti. Me lo lasci ripetere: è il tempo di fare e basta”.