“Negazionismo” non è una bella parola e rischia di produrre quando usata impropriamente delle conseguenze esattamente contrarie a quelle sperate: la presa d’atto di una realtà – a nostro avviso incontrovertibile – che l’interlocutore non riesce, o forse strumentalmente non vuole, vedere.
Storicamente legata a genocidi e crimini contro l’umanità è stata usata durante la pandemia per etichettare – ghettizzandoli e producendo in loro un sentimento identitario ancor più vivo e forte – tutti coloro che non volevano riconoscere la portata del Covid19 e che avevano per la sua gestione delle proposte meno draconiane (o nessuna proposta) di quelle dei competitor che incarnavano così il ruolo dei “responsabili”.
Tanti non credono ai guai dell’Ambiente. Farci polemica gli dà solo più forza
Se è vero che la comunicazione procede molte volte per polarizzazioni di posizioni che tra di loro dialetticamente si contrappongono (senza però mai trovare una sintesi!) è altrettanto vero che la politica non può procedere a colpi di ideologia e che un problema complesso richiede un’analisi articolata – non una banale semplificazione – e risposte concrete che possano, se non risolvere compiutamente il problema, contenerne i danni.
Il cambiamento climatico, che sia causato dall’uomo o che risponda alla ciclicità degli eventi, esiste e va affrontato. In quanto unici abitanti del pianeta dotati di libero arbitrio certamente abbiamo delle responsabilità in questo processo, se non di tipo direttamente causale (ne dubito!) certamente di tipo gestionale (non possiamo far finta di nulla e agire sconsideratamente!).
In tal senso tornerebbe utile al dibattito che ambisce a essere serio, onde evitare che su una questione di rilevanza cruciale la si butti in caciara da talk, smetterla di usare l’appellativo “negazionismo” e sostituirlo con quello di “riduzionismo climatico”. Se è vero che il linguaggio non è mai innocente perché tradisce sempre un certo pensiero, essenziale portare entro il perimetro della mediazione il confronto che deve essere su contenuti e non su posizionamenti ideologici in cui a essere usati sono i soliti slogan da campagna elettorale.
Coloro che non accolgono l’emergenza climatica come tale, un po’ come accaduto dinanzi alla pandemia, sono mossi dall’idea che dietro gli allarmi su determinati temi ci sia matematicamente la fregatura che proviene generalmente, se non dal governo in carica, dall’Europa. Ed è così che chiamandoli “negazionisti” – dunque radicalizzando la contrapposizione – si accresce l’orgoglio di questa rumorosa frangia destinata a promuovere la narrazione del “noi difendiamo il Paese dalle false emergenze – inclusa quella climatica – utili solo a vessarci economicamente”.
E sì, perché uno degli argomenti usati da costoro è che la transizione ecologica – non necessaria perché a detta loro non c’è alcun emergenza climatica – si ripercuoterà drammaticamente sulle nostre tasche con il solo scopo di arricchire i soliti noti che loro patriotticamente combattono. Non vogliamo negare il negazionismo, finendo in un buffo paradosso, ma evitare di riconoscere loro un’autorevolezza che non hanno perché la realtà è più forte di tutto.