Dopo l’indiscrezione sulla presunta disponibilità della premier Giorgia Meloni ad affrontare il fenomeno del lavoro povero e dunque a discutere, con i dovuti distinguo, di salario minimo sembrava che il fronte delle opposizioni – fatta eccezione per Italia Viva di Matteo Renzi – che ha presentato una proposta per l’introduzione di una soglia minima di garanzia retributiva pari a 9 euro l’ora potesse incrinarsi.
Il governo vorrebbe far slittare il dossier del Salario minimo a dopo l’estate. M5S e Pd rispondono picche: “Pronti alle barricate”
Tanto il leader di Azione, Carlo Calenda, quanto la segretaria del Pd, Elly Schlein, avevano accolto con un certo entusiasmo quella disponibilità al confronto, diversamente dai Cinque Stelle che hanno mostrato da subito freddezza e diffidenza. Ma ieri una riunione dei capigruppo alla Camera e nella commissione Lavoro di Pd, M5S, Azione e Verdi-Sinistra Italiana ha ricompattato il fronte.
“Le forze che hanno sottoscritto il ddl sul salario minimo chiedono alla maggioranza il ritiro dell’emendamento soppressivo e confermano la volontà di andare in Parlamento già il 27 luglio a discutere nel merito della proposta così come stabilito dalla conferenza dei capigruppo”, hanno dichiarato al termine del vertice gli esponenti dei principali partiti di opposizione in una nota congiunta. A questo punto il cerino passa in mano alla maggioranza.
Come numerosi sondaggi testimoniano, la maggioranza degli italiani, compresi gli elettori dei partiti di destra, sono favorevoli all’introduzione di un salario minimo legale. Tanto la Meloni quanto la Lega continuano a rimanere contrari alla proposta ma si stanno rendendo conto che non possono consentire alle opposizioni di intestarsi la battaglia contro il lavoro povero.
Diversamente da Forza Italia che continua a considerare, come ha detto il suo presidente nonché ministro e vicepremier Antonio Tajani, il salario minimo roba da Unione Sovietica. Questo non significa che meloniani e leghisti siano pronti ad appoggiare la proposta delle opposizioni ma le colombe dei due partiti starebbero prendendo in considerazione l’idea di congelare l’emendamento soppressivo della proposta delle opposizioni e di rinviare il dossier a settembre, quando il governo sarebbe pronto a calare un ventaglio di soluzioni alternative.
Oggi la commissione Lavoro della Camera riprenderà in mano il testo della proposta di legge delle opposizioni
Oggi la commissione Lavoro di Montecitorio riprenderà in mano il testo della proposta di legge delle opposizioni e si dovranno votare le proposte di modifica, anche dunque quella che affosserebbe il salario minimo se non venisse ritirata. La proposta che il presidente della Commissione di FdI, Walter Rizzetto, avanza alle opposizioni è non votare nessun emendamento oggi ed arrivare in aula senza relatore per poi approvare una sospensiva alla proposta per approfondire ancora il dibattito. Ma M5S e Pd chiudono a qualsiasi ipotesi di rinvio.
“Dov’è l’apertura? Per noi contano le proposte concrete, c’è una discussione in Commissione. Contano le dichiarazioni non i retroscena o posizioni recuperate da qualche articolo di giornale. Finora non abbiamo avuto nulla. Siamo rimasti a chi dice che il salario minimo è una misura ideologica, sovietica, una forma di assistenzialismo, uno specchietto per le allodole. Se c’è una proposta concreta di confronto, qualche contributo o emendamento costruttivo, lo possiamo accettare. Altrimenti non accettiamo rinvii, bluff e meline”, ha detto Giuseppe Conte.
E sull’ipotesi dello slittamento a settembre l’ex premier è negativo: “Il rinvio per che cosa? Che cosa devono studiare ancora? Lo vogliono o non vogliono il salario minimo?”. Uguale chiusura dai dem: “Non ci interessa alcun rinvio e non lo sosteniamo”, ha replicato Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro. Le opposizioni sono pronte, in caso di bocciatura della loro proposta, a una legge di iniziativa popolare con cui ritornare a dare battaglia in Parlamento. La maggioranza e la premier sono avvisati. Altro che rinvii.