Sono circa tre milioni i lavoratori dipendenti in Italia al di sotto della soglia dei 9 euro l’ora che la proposta di legge delle opposizioni vorrebbe fissare come salario minimo. Il dato era stato fornito nei scorsi giorni dall’Istat e viene ora confermato dalle stime elaborate da Svimez.
C’è un altro elemento che però emerge da questi dati: al Sud la situazione è allarmante. Nel Mezzogiorno un milione di lavoratori dipendenti è sotto la soglia: parliamo del 25,1% dei dipendenti nel Sud Italia, ovvero più di uno su quattro.
Uno su quattro al Sud sotto il salario minimo
La quota è quindi altissima al Sud, mentre nel resto d’Italia cresce in numero assoluto ma non in percentuale: nelle regioni del Centro-Nord sono due milioni i dipendenti occupati che guadagnano meno di 9 euro l’ora, pari al 15,9% del totale dei lavoratori dipendenti.
Nel complesso in Italia i lavoratori al di sotto dei 9 euro l’ora sono il 17,2% del totale dei dipendenti, escludendo dal conteggio la Pubblica amministrazione. La stima realizzata da Svimez nel Rapporto 2023 si basa sui microdati dell’indagine continua sulle forze di loro dell’Istat aggiornata al 2020, ovvero l’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati sulle retribuzioni disaggregati a livello territoriale.
I dati di Svimez, d’altronde, confermano proprio quelli forniti dall’Istat sul salario minimo: secondo l’istituto di statistica i rapporti di lavoro al di sotto dei 9 euro l’ora sono 3,6 milioni, per un totale di circa 3 milioni di lavoratori.
Non solo il salario minimo, al Sud lavoro povero e precario
Un dato positivo, segnalato da Svimez, riguarda l’occupazione: nel periodo successivo allo shock del Covid la crescita è stata sostenuta e si è tornati su livelli di occupazione superiori a quelli del pre-pandemia. Al contrario, però, i posti di lavoro rimangono al di sotto di circa 300mila unità rispetto ai livelli raggiunti nel 2008, prima di vedere gli effetti della crisi economica.
Ma non è l’unico problema segnalato nel rapporto: il peso della componente del lavoro a termine, infatti, “rimane a livelli patologici, soprattutto se confrontato con il resto del Paese e le medie europee”. Gli occupati a termine sono il 22,9% del totale al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord.
E la precarietà al Sud dura più a lungo: quasi un lavoratore su quattro, nel Mezzogiorno, è occupato a termine da più di cinque anni, “quasi il doppio rispetto al resto del Paese”. E a questo si aggiunge la fuga di lavoratori e competenze: tra il 2001 e il 2021 sono circa 460mila i laureati che si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord.
In sostanza al Sud a farla da protagonista è ancora il lavoro povero e quello precario. A confermarlo anche un altro dato: la perdita di potere d’acquisto colpisce soprattutto il Mezzogiorno. Nel 2022, infatti, le retribuzioni lorde in termini reali sono di tre punti più basse nel Centro-Nord e di ben 12 al Sud, con confronti in entrambi i casi sul 2008. Rispetto a quell’anno, quindi, le retribuzioni degli abitanti del Sud valgono il 12% in meno.
Gli altri dati di Svimez sul Mezzogiorno
Svimez fornisce anche altri dati sul Sud Italia. A partire da quelli sul Pil: la crescita è stimata all’1,1% in Italia nel 2023, con un dato al Mezzogiorno solamente di poco più basso (+0,9%). Ovvero tre decimi di punto in meno rispetto al Centro-Nord.
Il calcolo è stato effettuato sull’ipotesi di un utilizzo parziale delle risorse del Pnrr. Con la piena attuazione, invece, nel 2023 si potrebbe raggiungere una crescita dell’1,4%. E poi, negli anni successivi, il Pnrr potrebbe comportare un contributo maggiore per il Sud, tanto da “chiudere” il divario di crescita con il Nord nel 2025.
Al contrario, però, la dinamica di crescita dei prezzi al consumo è stata più sostenuta al Sud: +8,7% contro il +7,9% del Centro-Nord. I consumi delle famiglie, invece, dovrebbero crescere più lentamente al Sud: +1,1% contro +1,7%.