Dalla striscia quotidiana delle 13, a un programma musicale. Se dovesse risolversi così il caso delle frasi sessiste messe nero su bianco da Filippo Facci, come da indiscrezione lanciata da Dagospia, qualcuno potrebbe pensare che in fin dei conti ‘giustizia è fatta’. Del resto la cancellazione della striscia che sarebbe dovuta iniziare a settembre, la quale dovrebbe essere ufficializzata lunedì, assomiglia a una punizione.
Ma se così fosse, allora c’è da chiedersi come mai contestualmente si starebbe pensando di dare un contentino all’editorialista di Libero, affidandogli un programma musicale in cui, sempre secondo Dagospia, si incentrerà “sulla musica classica-operistica” di cui il giornalista è un esperto. Una decisione che, se davvero dovesse diventare reale lunedì, non può che lasciare sgomenti perché dimostrerebbe come gli stessi manager di viale Mazzini hanno giudicato ‘insostenibile’ la posizione di Facci.
Ma gli stessi anziché provvedimenti che sarebbero consequenziali all’accaduto, avrebbero ragionato per giorni al fine di trovare una via d’uscita capace di salvare capra e cavoli. E comunque se anche da viale Mazzini dovesse arrivare la proposta del programma musicale, per quanto l’argomento è nelle corde del giornalista, non è neanche certo che quest’ultimo accetterebbe quello che, inevitabilmente, vedrebbe come un ‘declassamento’. Insomma il rischio è che la toppa sia più grande del buco.
Le proteste verso la Rai
Ma che in Rai la situazione avesse fatto scattare l’allarme rosso, lo si è capito da tempo. A farlo capire è stato lo stesso amministratore delegato del servizio pubblico, Roberto Sergio, che nel consiglio di amministrazione di lunedì non aveva preso alcuna decisione. Anzi aveva preferito rimandare, temporeggiare e nascondersi dietro frasi vaghe e generiche. “Non è mia abitudine decidere sulla base di campagne politiche strumentali e emozionali. Non mi faccio trascinare da nessuno, motivo per il quale comunicherò la decisione presa assumendone la piena responsabilità, e comunque in tempi brevi” affermava Sergio al culmine di una giornata da incubo.
Una mossa che aveva fatto infuriare Sandro Ruotolo, responsabile Informazione del Partito Democratico: “Ma come si può dare la colpa a chi ha sollevato il caso e non decidere su chi ha provocato il caso? È il mondo alla rovescia. L’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, non vuole ascoltare chi, per il bene del servizio pubblico, chiede di non contrattualizzare l’editorialista di Libero, Filippo Facci, che dovrebbe condurre un programma su Rai2”.
Facci…a di bronzo
Una tempesta perfetta che, almeno sui social, non sembra scalfire più di tanto Facci il quale aveva addirittura twittato: “Finirà bene, perché nascondo un grande segreto: non me ne frega un c…”. Peccato che poi, in diverse interviste, ha detto l’esatto. A La Stampa aveva rivelato: “In Rai, rispetto a questa storia, si trovano in un doppio vicolo cieco: non possono cedere per una cretinata del genere, ma allo stesso momento le donne della Rai sono tutte contro di me”.
Poi aveva aggiunto che la collaborazione con la Rai “mi farebbe comodo dal punto di vista alimentare, altrimenti ti assicuro che avrei fatto un passo indietro da solo, non voglio stare lì a difendere la mia rubrichina”. Poi, se non fosse già abbastanza chiaro, ha aggiunto che “molti pensano all’egemonia culturale, ma per me vale solo quella del rosso in banca, per questo sto traslocando. Vada come vada. Mi ritrovo cornuto e mazziato”.
Tesi ribadita il giorno dopo sul Corriere della Sera quando, smentendo i suoi stessi tweet, raccontava di aver “preso talmente tante pesciate in faccia, di recente e in passato, che non mi creo grandi problemi. Rivendico la mia coerenza e rifarei tutto quello che ho fatto o detto”, aggiungendo: “Non ho soldi e il contratto in Rai mi servirebbe parecchio. Poi non me lo faranno? Pazienza. Niente che non mi sia già successo: nel 1995 l’allora presidente Letizia Moratti strappò un ingaggio da 66 milioni di lire perché erano uscite intercettazioni che hanno fatto dire che ero craxiano. Apriti cielo! Adesso ci risiamo”.