“Non condivido le critiche del ministro, anche se so bene quanto ampio e articolato sia il dibattito dei giuristi intorno a questa forma criminosa”. Così il Presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Giuseppe Santalucia in merito alle parole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha definito il reato di concorso esterno evanescente e da modificare.
“Prendo atto, peraltro, che l’idea del Ministro – prosegue Santalucia – che non ho ben compreso se volta all’eliminazione del concorso esterno o alla sua migliore definizione, non ha sostanza politica, perché la Presidenza del Consiglio dei ministri ha decisamente negato che si interverrà”.
Malgrado i dubbi espressi da Mattarella alla Meloni, il guardasigilli sembra intenzionato ad andare avanti sull’abrogazione tout court del reato di abuso d’ufficio. Crede sia una buona idea?
“Ho già detto in plurime occasioni le ragioni tecniche di una contrarietà alla eliminazione del reato. Non mi pare una buona idea, ho illustrato gli argomenti che servono a dimostrare che non è una felice idea riformatrice. Lo ha fatto anche il Comitato direttivo centrale della Anm, nel corso dell’ultima seduta dell’8-9 luglio, ponendo soprattutto in evidenza che una totale eliminazione del reato porrebbe l’ordinamento italiano in frizione con alcuni atti normativi sovranazionali, di ambito europeo, che invece chiamano gli Stati a prevedere che lo sfruttamento a fini personali di un ufficio pubblico sia comportamento punibile sul piano penale. La parola spetta al Parlamento”.
Intanto fa discutere il tema della separazione delle carriere su cui il governo è in tilt. Se Meloni frena, Nordio e Sisto insistono. Perché separare le carriere sarebbe un vulnus per la nostra democrazia?
“Una riforma, quella della separazione delle carriere, che non contribuirà ad elevare la qualità del nostro sistema istituzionale. La Costituzione ha realizzato un’opera preziosa. Credo che i tanti progressi fatti dalla nostra società siano ricollegabili anche al sapiente equilibrio, scolpito in Costituzione, che vuole un pubblico ministero indipendente, inserito nella giurisdizione, controllato dai giudici, lontano dal potere politico. Mettere mano a una riforma così importante senza considerare tutte le implicazioni che potrebbero derivare per il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale e, soprattutto, per i rapporti tra pubblico ministero e potere politico mi sembra scelta non saggia. Cosa ne sarà di un pubblico ministero separato dalla giurisdizione? Sarà più vicino al potere politico? E dell’azione penale obbligatoria? Il principio di obbligatorietà traduce nel sistema penale il principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Cosa ne faremo?”
Le procure e i tribunali sono in affanno. Mancano 1500 magistrati ma il ministro ha rivelato che ne assumerà solo 250. Un numero di per sé insufficiente ma che desta ancor più preoccupazione alla luce delle modifiche alle misure cautelari che dovranno essere decise da un collegio…
“Non è così. Il Ministro, e gliene dò atto, ha provveduto a bandire i concorsi per la copertura dei posti vacanti. Certo i tempi del reclutamento dei magistrati non sono rapidi, ma è normale che sia così, perché si tratta di vagliare l’idoneità tecnica ad assumere un ruolo particolarmente delicato come è quello di magistrato. La proposta di incrementare l’organico di 250 posti è collegata alla riforma delle misure cautelari, perché si vuole che la custodia cautelare in carcere sia decisa non più da un giudice singolo ma ad un collegio. Riforma questa di cui comprendo lo spirito di garanzia ma che va riguardata all’interno dell’ampio sistema dei controlli sulle misure cautelari, oggi particolarmente ricco. Le garanzie vanno innalzate ma il sistema deve essere sostenibile, altrimenti le garanzie rimangono strozzate dalle inefficienze, al di là delle buone intenzioni”.
Si dice che voi dell’Anm affermate che questa riforma della Giustizia è punitiva verso la categoria. Ci può spiegare perché gira questa voce?
“Non abbiamo detto questo. È una riforma che non riguarda i magistrati ma il sistema penale. Quando abbiamo accennato al fatto che si evocano alcune riforme non appena alcune singole iniziative giudiziarie risultano non gradite, non facevamo certo riferimento al disegno di legge del Ministro Nordio che al momento è all’esame del Capo dello Stato”.
Sui casi giudiziari che agitano la maggioranza, Meloni ha difeso a spada tratta i suoi. Su Delmastro ha tuonato contro l’imputazione coatta che, a suo dire, è un’anomalia del nostro sistema penale. È davvero così?
“Non è così. Si tratta di un meccanismo che sta nel codice di procedura penale dal 1988 e che dimostra che il principio di obbligatorietà dell’azione pena è preso sul serio. Sono stati predisposti dei controlli del giudice sull’operato del pubblico ministero. Se non ci fossero i controlli, il pubblico ministero sarebbe arbitro dell’azione penale, e ciò non sarebbe accettabile”.
Su Santanché, invece, per la premier il problema sarebbe “procedurale” in quanto non è normale che la ministra abbia saputo dell’indagine tramite i giornali. Per questo si vocifera di una riforma dell’avviso di garanzia…
“Io non so se vi sia stata una fuga di notizie imputabile ai magistrati. Non spetta a me dirlo. So, però, che il Ministro della giustizia ha tutti gli strumenti per accertarlo, anche per allontanare il sospetto che la magistratura venga meno ai suoi doveri di garanzia dei diritti di tutti”.
Qual è il suo giudizio sulla riforma Nordio?
“Una riforma che non migliora la legislazione penale nei limitati settori su cui interviene”.