Le Lettere

Una storia di furbi e falliti

A volte, parlando con la gente semplice, si scoprono pozzi di umanità e di sofferenza. L’altro giorno un’anziana, vedova da tre anni, mi diceva: “Vivo con la pensione di reversibilità, poco più della metà di quello che percepiva mio marito, e non ce la faccio a pagare le bollette. Certe sere ceno con un po’ di pane inzuppato nel latte. Quando c’era lui, eravamo felici, non ci mancava niente. Una volta al mese potevamo anche permetterci una serata in pizzeria”. Mi sono commossa e, arrivata a casa, ho pianto. Quasi mi vergognavo di avere uno stipendio decente, normale.
Adele Terrasini
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Gentile lettrice, grazie per questa piccola ma preziosa testimonianza. So però che questi racconti non smuoveranno il nostro governo, che è ideologicamente votato alla tutela dei potenti e al disprezzo, anche se non apertamente confessato, dei poveri: questi ultimi sono “i falliti”, sono “quelli che non ce l’hanno fatta”, a differenza dei “furbi” come la Santanché, che a quanto pare scorrazza in una Maserati a spese della sua azienda piena di debiti, non paga le multe, non paga il Tfr ai dipendenti, abusa della cassa integrazione e così via, e alla fine per premio viene nominata ministro. Questo succede quando “l’economia e la politica sono sottratte a ogni considerazione etica” e quando il garantismo “altro non è che la tutela dei potenti”, scrive il sociologo Isaia Sales in un articolo sul caso Santanché e sulla riforma Nordio della Giustizia. È un’ideologia – scrive – “che si traduce nel rifiuto di qualsiasi superiorità degli interessi della collettività… e nella legittimazione dell’evasione fiscale”. Sottoscrivo in toto.

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