Ci sarà pure la ripresina del Pil quest’anno – secondo le ultime previsioni dell’Istat è previsto in crescita, sia nel 2023 (+1,2%), sia nel 2024 (+1,1%), seppure in rallentamento rispetto al biennio precedente – ma il rapporto annuale dell’Istituto nazionale di statistica contempla una serie di fattori di incertezza, dall’invecchiamento della popolazione alla crisi in Ucraina, con il conseguente aumento dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie, che mettono a repentaglio questi timidi segnali di crescita.
Non solo. Di dati inquietanti e drammatici, dal punto di vista sociale ed economico, che dovrebbero spingere chi ci governa a una riflessione seria sulle politiche che sta mettendo in campo, il Report dell’Istat è sfortunatamente ricco.
La trappola
In Italia la “trappola della povertà” è più intensa che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea e sta aumentando più che altrove. Quasi un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria. Gli ultimi dati disponibili, relativi al 2019, indicano in Italia il valore più alto tra i principali paesi europei e nel complesso dell’Ue inferiore solo a quello di Bulgaria e Romania. E qual è la risposta del governo a questa emergenza?
Smantellare il Reddito di cittadinanza, dimezzando la platea dei suoi beneficiari. I lavoratori italiani guadagnano circa 3.700 euro l’anno in meno della media dei colleghi europei e oltre 8 mila euro in meno della media di quelli tedeschi. La retribuzione media annua lorda per dipendente è pari a quasi 27 mila euro, inferiore del 12% a quella media Ue e del 23% a quella tedesca, nel 2021, a parità di potere d’acquisto. Tra il 2013 e il 2022, la crescita totale delle retribuzioni lorde annue per dipendente in Italia è stata del 12%, circa la metà della media europea. Il potere di acquisto delle retribuzioni, negli stessi anni, è sceso del 2% (+2,5% negli altri paesi).
Anche qui, fatta eccezione per un irrisorio e non strutturale taglio del cuneo fiscale, governo non pervenuto. Non vuol sentir parlare di salario minimo e ha depennato l’emergenza salariale dalla sua agenda. Del resto cosa aspettarsi da chi nel Def ha parlato di “moderazione della crescita salariale” contro “una pericolosa spirale salari-prezzi”? In più il governo ha deciso di smontare anche il decreto Dignità rendendo più facili i contratti a termine con il risultato di precarizzare ulteriormente il mercato del lavoro.
Emergenza neet
Gli indicatori del benessere dei giovani, da noi, sono ai livelli più bassi in Europa e, nel 2022, quasi un ragazzo su due tra 18 e 34 anni ha almeno un segnale di deprivazione, 4 milioni e 870 mila persone. Circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti neet). Nonostante i progressi, il divario con la media europea rimane ampio, e l’Italia resta fra i Paesi con la più bassa componente femminile tra gli occupati.
Note dolenti sul fronte demografico. Se il 2022 si era contraddistinto per un nuovo record del minimo di nascite (393 mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400 mila) e per l’alto numero di decessi (713 mila) quest’anno rischia di andare anche peggio. Le nascite continuano a diminuire, registrando, nel primo quadrimestre, l’1,1 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E il calo demografico rischia di essere anche un pesante freno per la crescita economica. Facile intuire che tra precarietà, salari bassi e inflazione alle stelle, le coppie abbiano sempre più difficoltà a fare figli. Ma ciò che è evidente per tanti economisti non rappresenta un problema per le destre.
E ancora. Se il governo Meloni dal primo giorno in cui si è insediato ha dichiarato guerra al Superbonus, l’Istat spiega che gli investimenti quest’anno rallenteranno rispetto al 2022 per il venir meno degli incentivi dell’edilizia. Nel 2022 la spesa per investimenti era aumentata del 9,4%, raggiungendo una quota sul Pil pari al 21,5%, il valore più elevato dell’ultimo decennio. Ultimo dato che merita una riflessione è quello che attesta che oltre una famiglia su quattro risulta ancora in povertà energetica nonostante aver ricevuto i bonus sociali per l’elettricità e il gas, il 25,1%.
Un dato che dovrebbe spingere il governo a interrogarsi sulla qualità e quantità dei bonus che ha deciso di rinnovare per alleviare le famiglie dal caro- bollette e su quegli sconti, invece, che aveva introdotto Draghi e che Meloni ha deciso improvvidamente di ridurre e in tali casi di eliminare.