Per la ministra del Lavoro, Marina Calderone, il decreto approvato il primo maggio porta a una “visione moderna del sistema del lavoro italiano”. Come a dire che è moderno eliminare gli aiuti alle famiglie più in difficoltà con la parziale abolizione del Reddito di cittadinanza. E come a dire che aumentare la precarietà, con la semplificazione del ricorso ai contratti a tempo determinato, renda il sistema più moderno.
La ministra parla in un’intervista al Corriere della Sera dopo l’approvazione alla Camera del decreto Lavoro, sostenendo che la riforma possa “disegnare un mondo del lavoro più inclusivo, più semplice, più adatto all’attuale momento economico e senza intaccare diritti e tutele”. Difficile, però, dire che diritti e tutele non vengano meno considerando tre dei principali punti del decreto: l’ampliamento dei voucher, il più facile ricorso ai contratti a tempo determinato e lo stop agli aiuti per i beneficiari occupabili del Reddito di cittadinanza.
Calderone difende il taglio del Reddito di cittadinanza
Calderone spiega: “Dal primo settembre parte il Supporto per la formazione e il lavoro per chi, in età da lavoro, è a rischio di esclusione sociale e lavorativa. L’obiettivo è migliorare l’occupabilità delle persone per il mercato del lavoro. Le politiche attive saranno il driver”. A giudizio della ministra l’introduzione dell’Assegno di inclusione (che sostituisce il Reddito) “mette in protezione le fragilità con l’aggiunta di una tutela ad hoc per le vittime di violenza di genere”.
Calderone continua nella spiegazione della riforma: “Riconosce a questi nuclei un beneficio economico, ma lo subordina all’adesione a un percorso personalizzato di attivazione e inclusione sociale e lavorativa”. Un racconto che sembra dire che il Reddito può essere eliminato senza problemi e senza colpire le famiglie italiane.
Per la ministra facilitare i contratti a termine non aumenta la precarietà
C’è poi l’abolizione delle causali per i contratti a termine che, secondo la ministra, non apre alla deregulation “perché, le causali nei contratti che superano i 12 mesi non scompaiono. L’obiettivo è una loro razionalizzazione, superando le difficoltà attuative del decreto Dignità: la semplificazione delle causali per i contratti a termine costituisce semmai un elemento chiarificatore, a vantaggio soprattutto dei giovani inoccupati. Ma questo non si traduce in un automatico incremento della precarietà”. Anche se sembra evidente che così le aziende avranno meno vincoli nell’utilizzo dei contratti a termine, rendendo molto più difficile per un giovane ottenere un contratto a tempo indeterminato, offrendo maggiori garanzie a chi decide di applicare contratti a tempo determinato.