Sei persone sono state raggiunte da misura cautelare a Palermo con l’accusa di spaccio di droga. Il gip Antonella Consiglio ha convalidato le richieste della Procura di Palermo e ha disposto la reclusione in carcere di Gioacchino e Salvatore Salamone, già noti alle forze dell’ordine, e gli arresti domiciliari per Mario Di Ferro, lo chef di Villa Zito già fermato dalle forze dell’ordine a inizio aprile in flagranza di reato mentre cedeva sostanze stupefacenti sotto casa a un dipendente dell’Ars. Obbligo di firma, invece, per tre dipendenti del ristorante sito in via Libertà.
Lo chef Di Ferro spacciava cocaina insieme ad altri cinque complici. Tra i suoi clienti ci sarebbe anche l’ex senatore Miccichè
A coordinare l’inchiesta il procuratore Maurizio de Lucia e il pm aggiunto Paolo Guido. Numerose e in doppia cifra le compravendite di dosi di cocaina addebitate allo chef e agli altri cinque indagati, quasi tutte nei confronti di una clientela altolocata. Tra i clienti, secondo quanto riferisce Repubblica, ci sarebbe stato anche l’ex senatore azzurro e presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè (nella foto), che non risulta comunque indagato.
Sentito dall’agenzia Italpress, Miccichè ha commentato “Con tutta serenità mi sento molto tranquillo”. Massimo riserbo dalla Procura di Palermo e dallo stesso procuratore capo Maurizio De Lucia che, contattato dall’Italpress, non ha rilasciato dichiarazioni.
Miccichè: “Con tutta serenità mi sento molto tranquillo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto”
“Escludo in maniera categorica – afferma – che io mi muova in macchina con lampeggiante acceso. È un errore che ho fatto nella vita di cui sono pentito. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, ed io lo sono”.
Secondo quanto risulta, sarebbero una trentina le cessioni di droga che il ristoratore palermitano Mario Di Ferro, da oggi ai domiciliari, avrebbe fatto in favore dell’ex senatore di Forza Italia ed ex presidente dell’Assemblea Regione Siciliana Miccichè. I due avrebbero usato un linguaggio in codice per parlare della vendita della cocaina: per indicare le dosi avrebbero fatto riferimento, ad esempio, al numero dei giorni in cui il politico si sarebbe dovuto recare fuori sede. Conversazioni che hanno subito insospettito gli inquirenti anche per l’inverosimiglianza delle frasi pronunciate.
“Ma quanti giorni sono?” chiedeva Di Ferro nell’ambito di un discorso totalmente diverso e il politico rispondeva: “va beh uno, che c… ne so poi io”. In altri casi, invece, il politico faceva riferimento al cibo. “Che mi puoi portare da mangiare”? chiedeva. E Di Ferro: “ci penso io”. Subito dopo aver parlato con l’esponente di Fi (dell’acquisito dello stupefacente sostengono gli investigatori) Di Ferro chiamava i suoi fornitori, Gioachino e Salvatore Salamone, che nelle sue conversazioni con l’ex senatore indicava come “rappresentanti” e ordinava loro la droga, che puntualmente gli veniva recapitata. A riscontro della tesi dell’accusa, tra l’altro, c’è la corrispondenza tra le criptiche indicazioni relative alle dosi presenti nelle conversazioni tra Di Ferro e l’ex senatore e ciò che poi l’indagato riferiva al suo fornitore.
“Senti, dovresti avvicinare da me al locale, ma siamo assai, qualche dieci, siamo dodici, una cosa di queste siamo” diceva Di Ferro a Salamone dopo aver saputo da Miccichè che sarebbe mancato “dieci” giorni. Molte le foto che immortalano Gioacchino Salamone mentre arrivava al ristorante di Di Ferro dall’ingresso secondario o mentre passava una busta, attraverso una grata del cancello, al ristoratore.
Per l’accusa l’ex senatore sarebbe andato a ritirare la cocaina. Una trentina le dosi cedute da Di Ferro
Alla consegna, secondo un modus operandi frequente, seguiva l’arrivo di Miccichè immortalato dal sistema di videosorveglianza mentre si presentava al locale, a volte entrando anche lui dall’ingresso secondario, a bordo dell’Audi col lampeggiante acceso. Per l’accusa l’ex senatore sarebbe andato a ritirare la cocaina.