La salute è roba da ricchi. Un italiano su tre ormai ha rinunciato a curarsi

Per acquistare farmaci o fare visite non coperte dal Ssn gli italiani spendono 40 miliardi di tasca propria.

La salute è roba da ricchi. Un italiano su tre ormai ha rinunciato a curarsi

Dal modello di Sanità pubblica italiana che ha fatto scuola nel mondo, al nuovo paradigma proposto dalle destre di governo che strizza l’occhio ai privati rendendo difficoltoso ai meno abbienti l’accesso alle cure.

Per acquistare farmaci o fare visite non coperte dal Ssn gli italiani spendono 40 miliardi di tasca propria

Può sembrare la classica sparata di qualche politico dell’opposizione ma è quanto emerge dal secondo Rapporto sul Sistema sanitario italiano, intitolato “Il termometro della salute”, presentato da Eurispes ed Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici (Enpam). Stando a quanto si legge nel documento la Sanità italiana, sotto la guida del ministro Orazio Schillaci, ha la febbre sempre più alta in quanto il sistema se “non sarà messo in grado di programmare e poi assorbire le necessarie professionalità, le Case e gli Ospedali della comunità rimarranno vuote, mentre la crisi del decisivo comparto della medicina generale si avviterà ulteriormente, gli ospedali continueranno a degradarsi, l’universalità della sanità pubblica continuerà a deperire, si apriranno ulteriori autostrade per la sanità privata e curarsi diverrà una questione di censo”.

Insomma curarsi sta diventando sempre più una cosa da ricchi, di fatto creando una discriminazione intollerabile. Del resto i dati parlano chiaro visto che un quarto delle famiglie italiane denuncia difficoltà economiche relativamente alle prestazioni sanitarie. Un dramma che riguarda, sempre secondo il rapporto, prevalentemente gli abitanti del Sud (28,5%) e delle Isole (30,5%). Difficoltà che, però, non si limitano solo alle risorse visto che nel 2022 un terzo degli intervistati, ossia il 33,3% del campione, ha candidamente ammesso di aver dovuto rinunciare “a prestazioni e/o interventi sanitari” a causa dell’indisponibilità delle strutture sanitarie oppure per le liste di attesa sterminate. Un trend che, prosegue il rapporto, si sta ulteriormente aggravando nel corso di quest’anno.

Cresce il fenomeno della mobilità sanitaria che spinge un esercito di cittadini a compiere i cosiddetti “viaggi della speranza”

Dati alla mano emerge anche che gli italiani per curare la propria salute spendono di tasca propria, tra prestazioni e farmaci in tutto o in parte non coperti dal Ssn, quasi 40 miliardi di euro all’anno. Si tratta, tanto per capirci, di una quota pari al 2% del Pil. Ma non è tutto. Di giorno in giorno cresce il fenomeno della mobilità sanitaria che spinge un esercito di cittadini a compiere i cosiddetti ‘viaggi della speranza’. Si tratta di vere e proprie migrazioni, le quali coinvolgono almeno un milione e mezzo di italiani all’anno, di pazienti che sono costretti a rivolgersi a strutture pubbliche di altre Regioni per ottenere prestazioni previste dal Servizio sanitario nazionale di fatto non erogabili nel territorio di residenza a causa dei deficit strutturali della sanità regionale di appartenenza.

Mobilità sanitaria che rischia di crescere ulteriormente anche per via dell’Autonomia differenziata di Roberto Calderoli. Un provvedimento fortemente criticato da molti esperti in quanto rischia di penalizzare le regioni del sud, favorendo quelle del nord ma che il ministro continua a difendere a spada tratta sostenendo che, al contrario, con questa legge il divario non crescerà ma diminuirà. Peccato che a dargli torto è sempre il rapporto di Eurispes ed Enpam che, sempre nella parte relativa alla mobilità tra regioni, fa notare come “le regioni con un saldo attivo sono Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana, e quelle che invece depauperano il loro budget sanitario sono quasi tutte le rimanenti Regioni centro-meridionali”.

Sempre nel rapporto si legge che “gli importi versati dalle Regioni che cedono pazienti a quelle in grado di erogare le prestazioni, determinano una ulteriore difficoltà in budget sanitari già compressi dai piani di rientro. All’opposto, le Regioni che erogano molte prestazioni a cittadini non residenti possono contare su di un over-budget che rende possibili investimenti in strutture e personale, di cui beneficiano in primo luogo i cittadini residenti”.

Tutto ciò, in termini di efficienza, genera la ‘forbice’ tra alcune Regioni del Nord e quelle del Centro-Sud, inevitabilmente si allarga. E infatti, prosegue il report, “ai due estremi, nel 2018” troviamo “la Regione Lombardia che ha riscontrato un saldo positivo di quasi 809 milioni di euro, mentre la Regione Calabria un deficit di quasi 320 milioni di euro e la Regione Campania di più di 302 milioni”. Insomma appare davvero inverosimile sostenere che con l’Autonomia differenziata si potrà invertire un trend che, al contrario, sembra destinato ad aggravarsi.

 

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