Roberto Fico, ex presidente della Camera e presidente del Comitato di garanzia del Movimento 5 Stelle, il 17 giugno scendete in piazza contro il governo: perché avete scelto di uscire dalle aule parlamentari e andare nelle strade per farvi ascoltare dall’esecutivo?
“Perché siamo preoccupati. Il governo ha un atteggiamento reazionario sul fronte sociale: la sua prima mossa è stata cancellare il Reddito di cittadinanza. Poi ha deciso di aumentare la precarietà nel mondo del lavoro con un decreto approvato provocatoriamente lo scorso primo maggio. È uno scenario grave, che tocca le corde della tenuta sociale della nostra comunità. Scendere in piazza significa dare voce a situazioni e fasce della popolazione che l’esecutivo ignora. Faremo poi una ferma opposizione anche in Parlamento”.
Il primo punto della mobilitazione è quello dei precari, come suggerisce anche lo slogan della manifestazione: cosa chiedete di fare a Meloni su questo fronte?
“Chiediamo un immediato passo indietro sul decreto Precarietà, che il governo chiama in maniera scorretta decreto Lavoro. Non è accettabile il principio secondo cui si può rinnovare un contratto a termine senza chiarezza sulle causali. Vogliono precari sempre più precari, pongono le basi per un deterioramento della qualità delle condizioni di lavoro. Quella di Meloni e Salvini è una scelta puramente ideologica, come d’altronde quella sul Reddito di cittadinanza”.
Dal palco della manifestazione di Roma si parlerà anche dell’Autonomia: perché sostenete che la riforma aumenterà le disuguaglianze e pensate che si è ancora in tempo per far tornare il governo sui suoi passi?
“È una riforma scellerata che aumenta i divari. La Lega Nord prima la chiamava secessione, poi devolution, ora autonomia differenziata. Il disegno politico è lo stesso: togliere al Mezzogiorno la possibilità di colmare i gap di cui soffre. Con questa riforma le Regioni che hanno miglior servizi staranno sempre meglio, quelle con meno risorse staranno sempre peggio. La legge Calderoli è un vero e proprio ‘spacca Italia’”.
Il tema della precarietà e degli investimenti dello Stato è legato anche all’invio di armi in Ucraina: mettere fine alle forniture a Kiev può davvero incidere sulla guerra e anche sull’economia italiana?
“Noi riteniamo che l’Ucraina sia stata ingiustamente aggredita dalla Russia. Quindi c’è un aggressore e un aggredito. Questo è indubbio. Abbiamo sostenuto con convinzione gli ucraini in questi mesi con tutti gli strumenti a nostra disposizione. D’altro lato però servono sforzi maggiori dal punto di vista della diplomazia per mettere fine alla guerra. Ogni minuto in più di conflitto significa morti e dolore”.
Considerando anche i ritardi sui fondi Ue, temete che Meloni ricorra ai soldi del Pnrr per aumentare la produzione di armi?
“Sarebbe un errore enorme. Per noi è inconcepibile e inaccettabile usare i fondi del Piano per costruire munizioni. Sono convinto sia un grandissimo sbaglio da parte dell’Europa orientare i propri investimenti in questo senso. Ma spero che l’Italia rinunci a questa possibilità. I soldi servono per le infrastrutture, la transizione ecologica e digitale, ma anche per la tutela del territorio, per le scuole e gli asili. Siamo pronti a fare le barricate in Parlamento e fuori se pensano di rinunciare anche a un solo progetto per avere più armi e munizioni”.
Il governo, finora, non è sembrato molto attento alle proposte delle opposizioni e dei cittadini: servono più piazze come quella di sabato per farsi ascoltare?
“Il governo è sordo alle istanze delle opposizioni, ma questo significa che noi con sempre maggior determinazione e convinzione insisteremo per rappresentare quella parte di Paese che non è rappresentata dalla destra”.
Pensate che le mobilitazioni di massa, dei partiti e della società civile, possano essere sufficienti di fronte a una maggioranza che finora si è mostrata poco propensa all’ascolto?
“Serve manifestare per portare le istanze di tutte quelle persone che vengono messe ai margini dalle scelte dell’esecutivo. L’opposizione al governo si fa in Parlamento senza dubbio, ma è importante farla anche fuori dalle istituzioni. Questo è un tratto distintivo del Movimento che domani ribadiremo a Roma”.
Questa manifestazione può essere il pretesto per rifondare un campo progressista, unito almeno su alcuni temi contro Meloni?
“Su temi comuni – partire dal salario minimo – si può fare un percorso comune. Lo stiamo dimostrando a livello locale nelle città in cui amministriamo insieme, penso a Napoli. Ma anche in altre realtà in cui ci presentiamo uniti, come il Molise. A livello nazionale fare insieme alcune battaglie condivise può essere un buon punto di partenza”.