Da un lato l’addio al reato di abuso d’ufficio e l’annacquamento del traffico di influenze, dall’altro la riforma delle misure cautelari che dovranno essere stabilite da un collegio di tre giudici. Poi, per non farsi mancare nulla, pure un ulteriore bavaglio ai giornalisti e ai magistrati in materia di intercettazioni. Questi i punti principali del disegno di legge (qui la sintesi di Palazzo Chigi) varato dal Consiglio dei ministri che riforma la Giustizia su input del ministro Carlo Nordio.
Nordio presenta l’ultimo regalo di Silvio. Una riforma della giustizia che prende a schiaffi italiani onesti e toghe
Tutte misure emerse nei giorni scorsi e che il ministro aveva anticipato già in mattinata quando, a SkyTg24, aveva spiegato che “per quanto riguarda il merito” del provvedimento “era stato già anticipato dalla stampa” e sostanzialmente le notizie diffuse sono corrette” in quanto “si interverrà sulla tutela della dignità delle persone che vengono coinvolte senza saperlo e senza essere interessate nelle intercettazioni telefoniche”, “si amplieranno i limiti per la custodia cautelare che dovrà essere preceduta da un interrogatorio di garanzia, salvo i casi di flagranza di reato e di pericolo di fuga imminente” e verrà abolito “l’abuso d’ufficio”.
Un Consiglio dei ministri nel segno dell’ex leader di Forza Italia come ricordato dallo stesso ministro della Giustizia secondo cui è una “coincidenza” che questo Consiglio dei ministri “avvenga con la dolorosa notizia della morte di Berlusconi”. Così “se da un lato” la riforma “è un tributo per la sua battaglia per una Giustizia più giusta, dall’altro c’è il rammarico di impedirgli di assistere al primo passo verso una riforma radicale in senso garantista che lui auspicava”.
In relazione all’abuso d’ufficio, anziché una definizione più restrittiva del reato, si è decisi per il taglio netto giustificandolo con lo squilibrio tra le iscrizioni nel registro degli indagati e condanne, facendo leva sui dati dell’anno scorso secondo cui sono stati archiviati 3.536 dei 3.938 fascicoli aperti, mentre nel 2021, in primo grado, ci sono state solo 18 condanne. Ma per Nordio ciò non causerà problemi perché “la nostra normativa contro la corruzione è la più avanzata del mondo” anche se c’è chi dissente.
Imposti nuovi limiti all’informazione e alla custodia cautelare. I colletti bianchi ringraziano
Il traffico di influenze viene “limitato a condotte particolarmente gravi” e quindi non più ai casi di “millanteria”. Cambia anche l’appellabilità delle sentenze, in parte rievocando la legge Pecorella già bocciata dalla Corte Costituzionale, visto che i magistrati non potranno ricorrere in caso di sentenze di assoluzione che riguardano reati di “contenuta gravità”. Stretta anche sulle intercettazioni la cui pubblicabilità da parte dei giornalisti sarà permessa solo per le trascrizioni il cui contenuto sia “riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel dibattimento”.
Se possibile risultano ancor più controverse la riforma della custodia cautelare che sarà valutata da un collegio di tre giudici, non più da uno solo, che prima di esprimersi dovranno interrogare l’indagato, tranne se ricorre il pericolo di fuga, di inquinamento delle prove o se si tratta di reati gravi commessi con l’uso di armi. Ancor più divisiva la decisione sull’informazione di garanzia che dovrà contenere una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista, e dovrà essere notificata “con modalità che tutelino l’indagato”.
Un disegno di legge che convince soltanto il Terzo polo con Carlo Calenda che si è già reso disponibile per “votarlo in Parlamento” mentre ha scontentato M5S e Pd, i quali promettono battaglia in Aula, e soprattutto ha sancito l’ennesimo scontro con la magistratura che da giorni critica il provvedimento. Proprio per questo in relazione ai dubbi dell’Associazione nazionale magistrati, lo stesso Nordio non le ha mandate a dire: “È patologico che in Italia molto spesso la politica abbia ceduto alle pressioni della magistratura sulla formazione delle leggi. Questo è inammissibile. Il magistrato non può criticare le leggi, come il politico le sentenze. Questa è la democrazia e non sono ammesse interferenze”.
Pronta la risposta del presidente Anm, Giuseppe Santalucia: “Credo che una democrazia partecipata non debba individuare nella posizione critica di categorie professionali un’interferenza indebita. Noi rispettiamo la sovranità parlamentare. Sarebbe assurdo pensare che i magistrati vogliono interferire con un altro potere dello Stato. Cerchiamo un confronto democratico con chi poi assumerà tutte le sue decisioni”. Un confronto che forse non ci sarà.