Tra tante cronache amare, l’unica notizia bella degli ultimi tempi è stata la storia dei quattro bambini sopravvissuti a un incidente aereo e a 40 giorni nella giungla colombiana.
Cinzia Bellei
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Gentile lettrice, c’è un detto: che una bella notizia non è una notizia. Ma per fortuna ci sono eccezioni e questa vicenda entra sicuramente tra le eccezioni. Per un giorno ha oscurato guerra, femminicidi, detenuti pestati dalla polizia, e via dicendo. I quattro bambini erano gli unici sopravvissuti alla caduta di un piccolo aereo che aveva provocato la morte degli altri tre a bordo: la madre, un amico di famiglia e il pilota. Tre sorelle, età 13, 9 e 1 anno, e un fratellino di 4 anni. La più grande, Lelsly, è stata la loro guida. Sono sopravvissuti perché sono indios e la nonna aveva insegnato loro cosa fare e non fare nella giungla, quali erbe e radici mangiare e quali no, come evitare serpenti e predatori, come ripararsi dalla pioggia che cade anche 16 ore al giorno. Centinaia di soldati e 78 indios hanno partecipato alle ricerche: quasi ogni giorno trovavano tracce del loro passaggio, ma senza riuscire a localizzarli. Gli elicotteri hanno lanciato sulla zona oltre cento pacchi di viveri e acqua minerale nella speranza di aiutarli. I bambini ne avevano avvistati alcuni, ma non li hanno aperti: per diffidenza. Un carattere, la diffidenza, inculcato sicuramente dalla mentalità indio. Infine sono stati trovati: smagriti, stremati, coperti di punture d’insetti, ma vivi. Manca solo uno scrittore che dalla loro storia tragga un romanzo. Ci vorrebbe un Rudyard Kipling e un suo nuovo Libro della giungla.
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