Ha poco da esultare Giorgia Meloni. “Riusciremo ad avere la terza rata del Pnrr. Sono assolutamente ottimista. Ci stiamo occupando, entro il 31 agosto, di lavorare per rivedere alcuni obiettivi e inserire alcuni capitoli del Repower Ue”, ha detto nel corso della sua intervista a Bruno Vespa. Ma la presidente del Consiglio non la racconta tutta.
Ha poco da esultare il Governo. La contrazione della produzione industriale del 7,2% ad aprile è la più ampia da quasi tre anni
Il pagamento della terza rata, legata ai 55 obiettivi da centrare entro il 2022, dovrebbe, sì, avvenire entro la fine di questo mese ma l’importo – pari a 19 miliardi – potrebbe essere decurtato. Peraltro in ballo ci sono la quarta rata da 16 miliardi, legata ai 27 obiettivi da centrare entro la fine di giugno, e, in prospettiva, la quinta da 18 miliardi vincolata al raggiungimento dei 69 obiettivi da realizzare entro la fine dell’anno.
Ebbene sulla quarta e sulla quinta c’è il buio assoluto anche perché queste rate sono legate al negoziato sulla revisione del Piano su cui l’Italia è in ritardo. La dead line per presentare le proposte di modifica a Bruxelles è il 31 agosto ma la Commissione europea ha fatto capire che gradirebbe riceverle il prima possibile. Ma il governo arranca anche sulla revisione e sicuramente utilizzerà tutto il tempo a disposizione, in barba ai richiami dell’esecutivo comunitario.
“Cerchiamo di liberare risorse per metterle dove serve: in Italia c’è un problema di salari, l’obiettivo è rendere il taglio del cuneo strutturale, dipende dalle entrate dello Stato, che dipendono dalla crescita”, ha detto Meloni. Che ha aggiunto: “L’economia sta andando bene”. Mai parole più improvvide. È di ieri la notizia che la contrazione tendenziale della produzione industriale del 7,2% registrata dall’Istat ad aprile è la più ampia da quasi tre anni. Per trovare un calo superiore, nei dati corretti per il calendario, bisogna tornare a luglio 2020, nella fase 2 dell’emergenza pandemica, quando la flessione era stata dell’8,3%.
Intanto la Consob suona l’allarme sull’inflazione sparita dall’agenda di governo
Ieri poi c’è stata la relazione annuale della Consob. Ebbene in tale occasione il presidente Paolo Savona (nella foto) ha lanciato un vero e proprio allarme sull’inflazione. “È come un’Idra dalle molte teste, se una viene tagliata e cauterizzata, agiscono le altre” e “un’elevata inflazione crea i presupposti anche per una deformazione della democrazia e l’emersione di forme di violenza sociale. Abbattere l’inflazione senza creare depressione e squilibri sociali è compito assai arduo”.
Il presidente Consob ha sottolineato come “gli aumenti del costo della vita si siano trasmessi alla tassazione, ma non ai salari, che hanno finora mostrato maggiore rigidità. La ricchezza finanziaria continua a registrare un grave depauperamento del suo valore reale”. Ma il governo, fatta eccezione per l’irrisorio taglio sul cuneo fiscale, pare aver depennato la questione salariale e quella inflazionistica dalla sua agenda. Peraltro ha pure deciso di non rinnovare gli sconti in bolletta decisi dal governo Draghi. Oltre ad aver parlato nel Def di “moderazione della crescita salariale” contro “una pericolosa spirale salari-prezzi”.
Ma altro che spirale, nel nostro Paese i salari sono fermi al palo. E se, a partire dalla manovra di Bilancio, l’esecutivo ha deciso di puntare sull’austerity Savona ricorda come “invece di perseguire una riduzione del debito pubblico, che avrebbe effetti certamente deflazionistici, è importante e urgente un rapido ritorno a un avanzo primario del bilancio statale, accompagnato da un andamento del nuovo indebitamento proporzionato all’andamento della crescita del Pil e del risparmio privato che lo deve accogliere”.
Il numero uno della Consob poi di fronte a un Paese che invecchia ha richiamato sulla necessità di “incrementare la crescita reale per sostenere il livello di benessere generale raggiunto e migliorarne la distribuzione tra i cittadini”. Peccato che la politica fiscale del governo non pare andare verso questa direzione. A partire dalla flat tax che rischia di favorire i redditi più alti e di ridurre l’equità del sistema. Ma Meloni si dice ottimista.