di Angelo Perfetti
Ufficialmente nessuno lo dirà. Solo qualche indiscrezione, risalente a metà marzo, quando a fronte del repentino cambio di strategia politica per il quale dopo aver annunciato che i nostri marò sarebbero rimasti in patria il 21 marzo li rispedimmo in India. Voci di corridoio dissero che in quel consiglio dei ministri Corrado Passera fece presente che se l’Italia fosse andata in rotta di collisione con gli indiani avremmo rischiato commesse per circa 8 miliardi di euro. Ci calammo le braghe, convinti che la disponibilità mostrata avrebbe facilitato la risoluzione della vicenda di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Ma quella fu solo una delle tante rinunce alla sovranità nazionale che, alla fine dei conti, non solo non ha risolto rapidamente la vicenda dei fucilieri di Marina ma non è riuscita neanche a tutelare gli interessi economici del nostro Paese.
Contratti stracciati
In questi giorni, infatti, l’India ha sospeso l’ordine di 556 milioni di euro per l’appalto di 12 elicotteri che Finmeccanica avrebbe – da contratto – dovuto fornire a Nuova Delhi. La scusa è stata l’inchiesta che a febbraio ha portato all’arresto di Giuseppe Ordi (Ad di Finmeccanica) e Bruno Spagnolini (Ad di Augusta Westland); una scusa, perché da febbraio ad oggi è passato un po’ di tempo, e nel frattempo l’unica prova di forza del governo italiano, ossia il diniego di mandare in India gli altri quattro fucilieri di pattuglia a bordo della Enrica Lexie per essere interrogati, ha provocato l’immediato irrigidimento del governo indiano. Il ministro della Difesa A.K. Antony ha sospeso i pagamenti verso l’azienda anglo-italiana dopo aver ricevuto i primi tre elicotteri, annunciando l’intenzione di cancellare l’ordine per gli altri nove. E mentre l’Italia continua a fare piccoli passi curvandosi al volere di Nuova Delhi o di Bruxelles, la nostra economia rimane asfittica e sempre più bisognosa dell’aiuto degli stessi Paesi che ci stanno strangolando. Ormai è evidente: il buonismo non paga. Meglio alzare la testa e la voce, rischiare ciò che c’è da rischiare, crollare a terra se è il caso, e poi rialzarsi liberi finalmente da legami sovranazionali che impediscono alla nostra Nazione e alla nostra economia di muoversi. In un solo concetto: riscoprire l’orgoglio nazionale.
Ammissione di colpa
Tanto siamo stati bravi a farci del male, che non solo abbiamo consegnato i nostri soldati ad un’autorità estera che non aveva titolo a trattenerli, ma abbiamo persino risarcito le vittime di quella sparatoria in mare per la quale i nostri marò sono accusati senza uno straccio di prova. L’Italia ha versato nell’aprile 2012 ben 190.000 dollari alle famiglie dei pescatori uccisi, gesto interpretato dai mass media indiani come l’evidente ammissione di colpevolezza. Non si capisce infatti perché una nazione straniera dovrebbe indennizzare un cittadino indiano per una colpa non sua, tantomeno in un momento economico in cui è perlomeno fuori luogo “regalare” con un atto di liberalità decine di migliaia di euro all’estero quando in patria ci sono enormi situazioni di disagio sociale.
Un processo infinito
Ma anche questo tentativo di volersi ingraziare il governo indiano non ha sortito l’effetto sperato. E così ci ritroviamo con i nostri soldati ancora agli arresti in India da ormai 20 mesi, con un processo in corso che è tutt’altro che “rapido e giusto” come più volte annunciato dal ministro Bonino e dall’ex sottosegretario De Mistura, con la pena di morte ancora non formalmente esclusa e con il blocco delle commesse più importanti per l’Italia. Se un domani questa situazione dovesse sbrogliarsi, come tutti auspichiamo, nessuno venga a fare comunicati trionfalistici. In questa storia l’Italia ha già perso la cosa più importante che uno Stato può avere: la credibilità internazionale. Ora prioritario rimane salvare la vita dei nostri soldati e riportarli a casa. Il resto, se arriverà, saranno solo briciole.