Ogni mattina alle 10 Rosario Pellecchia è un riferimento fisso per chi ama informarsi con allegria. Non a caso “105 Friends”, insieme a Tony Severo, continua a essere uno dei programmi radiofonici più ascoltati in Italia. Ma riuscire a far diventare un lavoro quella che per tutti comincia come una passione, e nella maggior parte dei casi rimane tale, non è affatto facile. E se poi si punta a diversi campi artistici – dalla radio alla musica, alla scrittura – l’impresa è davvero eccezionale.
La tua carriera radiofonica comincia in Campania, con l’affermazione a Radio Kiss Kiss. Poi l’approdo a Radio 105 nel 1996. Come sono stati i primi anni? E dove hai trovato la chiave del successo?
“Sono stati anni di impegno, passione, dedizione totale. Praticamente vivevo in radio! Era già un lavoro, ma nel frattempo imparavo il mestiere giorno per giorno, perfezionavo la tecnica. Se ripenso a quegli anni ho la sensazione di non aver fatto altro. La fedeltà alle emittenti, Kiss Kiss prima e soprattutto 105 poi, la radio in cui lavoro da 27 anni, non era una cosa scontata. Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada due grandi radio che lasciavano ai conduttori una straordinaria libertà espressiva. Non riesco a immaginarmi in un posto dove ti limiti ad annunciare i dischi e dire che ore sono. Il formato “radio di flusso” non fa proprio per me. Questa è la ragione per la quale non ho accettato le tante proposte che negli anni mi sono arrivate. Avevo paura di perdere quella libertà”.
Sei in coppia con Tony Severo in “105 Friends” da 22 anni, bisogna essere davvero amici per condurre una trasmissione di successo per così tanto tempo.
“Bisogna volersi bene e percepire l’altro come un amico, una persona di cui puoi fidarti. Il che non vuol dire avere l’identica visione della vita… anzi, una certa divergenza di opinioni può essere funzionale al risultato che ottieni in onda. Io e Tony sappiamo di poter contare l’uno sull’altro. Per durare così a lungo come coppia quest’aspetto è fondamentale, proprio come in una storia d’amore. Poi non usciamo insieme tutte le sere, né andiamo in vacanza nello stesso posto. È più un banco di mutuo soccorso: Tony mi dà consigli sulle cose in cui lui è esperto, io faccio lo stesso in altre in cui sono più “attrezzato”. Lui è un praticone, io sono un maldestro che chiede assistenza pure per piantare un chiodo. Una volta mi ha praticamente montato un armadio. Gratis. Sia messo agli atti. Ma se si parla di orologi o ristoranti sono io a consigliarli a lui”.
La presenza del criminologo Massimo Picozzi in un programma radiofonico del mattino all’inizio poteva sembrare un azzardo e invece si è rivelata una scelta vincente.
“È vero, non era affatto una scelta convenzionale. Eppure CSI Milano è uno degli appuntamenti più amati all’interno del programma. Massimo è un vero Top Player, ha una capacità di racconto che nessuno in quel settore possiede. Lui sparisce dietro le storie, è questo il suo più grande talento: poco ego e molta attenzione ai dettagli, alle sfumature. Quel tipo di storytelling è spesso morboso, si sofferma sugli aspetti più “sanguinolenti”. Noi cerchiamo di starne lontani. Quando Massimo racconta una storia si sofferma più sugli aspetti psicologici, sulle ragioni che hanno spinto qualcuno a commettere un crimine. C’è pochissima cronaca e molta letteratura. Siamo stati i primi a farlo in radio e siamo ancora i migliori”.
Da anni hai affiancato all’attività di conduttore radiofonico quella di scrittore. Il tuo nuovo romanzo è “Ora che ho incontrato te”. Due mestieri sono meglio che uno?
“Entrambe queste forme espressive hanno a che fare con la parola, con il racconto. Tuttavia la radio ha una grande componente di intrattenimento, è pensata per fare compagnia a qualcuno che attraversa la sua giornata, mentre cucina o è in macchina. Poi capita anche che vada anche più in profondo. La scrittura invece è sempre una dimensione molto intima, ha a che fare con le emozioni, con l’inconscio. Un libro accompagna momenti più personali, ce l’hai tra le mani quando ti metti a letto o in vacanza. La radio ti chiede meno attenzione, sa essere discreta, starti accanto con leggerezza. Un libro ti scava dentro, ti sconvolge, ti emoziona. Ti fa fare delle domande. Ti fa essere per un po’ qualcun altro mentre ti fa capire meglio chi sei. Al netto delle differenze, la narrativa ha sicuramente più cose in comune con la radio che, per esempio, con la tv”.
Si dice che con un libro si abbia maggiore libertà espressiva rispetto alla radio. Sei d’accordo? Che differenza riscontri in tal senso?
“A 105 non siamo una radio di talk calcolati al secondo. Certo, la scrittura ti dà modo di approfondire, di raccontare sfumature dell’animo umano che in onda faresti fatica a descrivere, non sarebbe proprio il contesto adatto. In un’intervista recente ho fatto questo esempio: immaginando di partecipare a una festa tra amici, il conduttore radiofonico è colui che intrattiene gli invitati, che li fa divertire, coinvolgendoli tutti insieme in una sorta di liturgia. Lo scrittore è quel tizio che a un certo punto si accorge di un velo di malinconia negli occhi di una delle persone presenti a quella festa, e alla fine della serata lo accompagna a casa chiedendogli il perché di quella tristezza e cercando di capirne le ragioni più profonde. Bello, no?”.