Dottor Caselli, dopo la morte di Falcone e Borsellino lei ha diretto la Procura di Palermo per quasi sette anni, contribuendo al conseguimento di importanti risultati contro la mafia. L’altro giorno, parlando nel carcere di Opera, il procuratore Gratteri ha detto che vede una smobilitazione della legislazione antimafia. è un allarme che si sente di condividere?
“Trent’anni dalle stragi di mafia sono tanti. Tanti da indurre in tentazione chi vorrebbe modificare la normativa antimafia. Quelli che troppa legalità gli dà l’orticaria. Si sostiene che la situazione è cambiata, l’emergenza è finita, per cui… Un ragionamento viziato da un limite culturale che da sempre ci affligge. Quello di percepire la mafia come un problema esclusivamente di ordine pubblico, cogliendone la pericolosità soltanto quando la mafia mette in atto strategie sanguinarie; trascurando i rischi della convivenza con la mafia quando essa adotta strategie “attendiste”; dimenticando la sua lunga storia di violenze e quella straordinaria capacità di condizionamento della politica, dell’economia e delle istituzioni che ha fatto di un’associazione criminale un vero e proprio sistema di potere criminale. Perciò quella della mafia, ammesso che possa definirsi emergenza, non è un’emergenza contingente , ma permanente. Poi ci sono quelli che bisogna intervenire a piedi giunti per ripristinare lo stato di diritto, stravolto dalla normativa antimafia. Tesi, oltre che sbagliata, irriverente e oltraggiosa”.
A cosa si riferisce precisamente?
“Parlo di un Tridente, cioè di un’antimafia a tre punte: la fine della storica impunità della mafia (gennaio 1992 – la corte di Cassazione conferma con rilevanti condanne il maxi-processo costruito da Falcone e Borsellino; la legge sui pentiti del 1991 fortemente voluta da Falcone e Borsellino; il 41 bis OP (ordinamento penitenziario, ndr) varato dopo la morte Falcone, poi insabbiato, ripescato e approvato solo con l’uccisione di Borsellino. Dunque, per un verso o per l’altro il Tridente è “targato” Falcone-Borsellino. Purtroppo anche intriso del loro sangue. Ecco perché è quasi oltraggioso parlare di necessità di recuperare lo stato di diritto. Ma lasciamo da parte le teorie che sono frutto di mancanza di memoria e senso etico. Andiamo al concreto: il “tridente” ha funzionato e funziona”.
E oggi?
“La mafia ha preso e continua a prendere duri colpi, ma non è certo finita. Rinunciare a un sistema di difesa collaudato per inseguire le fantasie pseudo garantiste di qualcuno sarebbe follia. E non basta opporre che il cosiddetto doppio binario (41 bis, ergastolo (già) ostativo, legge sui pentiti) sarebbe contro la Costituzione. Esso infatti si basa sulla specificità della mafia rispetto ad ogni altra organizzazione criminale (parole della Corte costituzionale). E tale specificità (vale a dire differenza) può appunto giustificare un differente regime normativo”.
Sempre Gratteri ha aggiunto che “chi è detenuto al 41bis, dal punto di vista astratto, sta più comodo di chi è all’alta sicurezza o tra i comuni. Chi è al 41bis sceglie di continuare a stare lì perché ha la possibilità, collaborando, di uscirne subito”. Una “lettura” contestata dal suo ex sostituto Alfonso Sabella in una intervista al nostro giornale.
“Guai a dimenticare un dato di fatto. Prima del 41 bis con un’immagine che sembra iperbolica mentre fotografa la realtà, si parlava (specie con riferimento al carcere palermitano dell’Ucciardone) di “aragoste e champagne”. E non era ovviamente una questione… gastronomica, ma di ben altro peso. Significava che in carcere i mafiosi comandavano, che la supremazia dello Stato (anche nella struttura più “totalizzante”) era per loro mera parvenza. In sostanza, per i mafiosi il carcere era a tutti gli effetti la continuazione del loro dominio esterno. Situazione che, all’evidenza, svuotava di efficacia ogni prospettiva di lotta alla mafia. In sostanza, se Cosa nostra riesce a essere più forte dello Stato perfino dietro le sbarre, allora nessuno può dare credito allo Stato. E la battaglia antimafia è persa in partenza. Se invece con il 41 bis viene finalmente interrotto quel circuito perverso che rendeva il carcere dei mafiosi una protesi del loro territorio, ecco che tutto radicalmente cambia. A chi sostiene che il 41 bis è tortura, barbarie, vendetta, inciviltà vorrei ricordare quanto emerso da alcune lettere che dopo la sua cattura Giuseppe Graviano (sottoposto a 41 bis ) scambia col nuovo capo del mandamento di Brancaccio. Le cito qualche brano:
– “Ci sono venti carcerati che sono rovinati processualmente e non hanno mezzi economici per affrontare la situazione; l’impegno è di darci dai tre a quattro appartamenti ciascuno per avere un futuro economico sicuro sia loro che le loro famiglie.
– Sempre i carcerati mi chiedono perché gli è stato diminuito il mensile dopo il mio arresto […].
– […] solo per me spendo venti milioni al mese di avvocato, vestirmi, libretta e colloqui.
– Quando ero fuori si incassavano 800 milioni annuo (sic) effettivi + da 1 a 1 e 1/2 miliardi extra […].
– […] i costruttori che sono in moto debbono uscire questi appartamenti […], se qualcuno babbìa [scherza, fa il finto tonto: n.d.a.] vi dico io quali sono stati i patti […].
Come si vede, si tratta di uno straordinario “spaccato” che offre un irripetibile quanto cupo “affresco” di quella che è la “normale”, quotidiana, segreta attività criminosa di Cosa nostra, nonché della permanenza di vincoli associativi e operativi tra gli “uomini d’onore” senza che la detenzione di alcuni a regime di 41 bis sia più che tanto di intralcio. Di certo il mondo del 41 bis è complesso e variegato, ma lo ”spaccato” ora delineato è comunque assai indicativo e contrasta nettamente con le accuse di tortura e via seguitando”.
I parenti delle vittime di stragi in una lettera al Fatto quotidiano hanno contestato la probabile nomina di Chiara Colosimo (FdI) a presidente della Commissione antimafia, visti i suoi rapporti con l’ex Nar Ciavardini, condannato per la strage di Bologna. Con l’attuale governo, la lotta alla mafia rischia di subire una battuta d’arresto?
“La lotta alla mafia non mi sembra ai primi posti dell’agenda dell’attuale governo. Del resto, con un ministro della giustizia che ha sostenuto che le intercettazioni non servono perché i mafiosi non parlano al telefono c’è poco da stare allegri. Quanto alla Commissione antimafia, il ritardo della sua operatività è semplicemente inaccettabile. Come sarebbe inaccettabile un presidente sul quale si profilino ombre capaci di minare la credibilità e fiducia assolute di cui deve godere. E francamente avendo a disposizione una personalità professionalmente e moralmente ineccepibile di altissimo livello e di collaudata indipendenza come Cafiero De Raho non riesco proprio a capire cosa di meglio si potrebbe trovare”.