Sul Reddito di cittadinanza fino a oggi non ha spadroneggiato solo la narrazione sui percettori come divanisti e fannulloni ma anche quella sulla mancanza dei controlli che avrebbe comportato l’assegnazione del sussidio anche a chi non gli spettava. Ebbene il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, nel corso di un’audizione al Senato sul decreto Lavoro, ha smontato l’ennesima balla sull’assenza dei controlli. I numeri non mentono.
Negli anni l’Istituto ha avviato una serie di controlli ex ante oltre che ex post. Sulla base di quelli ex ante l’Istituto ha respinto 1,9 milioni di domande, ha spiegato Tridico, sottolineando che “questo è avvenuto durante il periodo in cui molti hanno detto o pensato che l’Istituto non facesse i controlli”. I controlli ex post, invece, hanno comportato la revoca in quattro anni di 300mila domande e la decadenza di un milione di domande. In totale dunque sono 3,2 milioni di domande non pagate per un esborso non erogato pari a 11 miliardi di euro.
Senza il Reddito di cittadinanza siamo sempre più lontani dall’Europa
Il governo con il decreto varato il primo maggio ha mandato in soffitta il Reddito di cittadinanza introducendo, al suo posto, due misure distinte: una rivolta ai poveri che non sono in condizione di lavorare (Assegno di inclusione-AdI) e un’altra di re/inserimento lavorativo (Supporto per la formazione ed il lavoro -Sfl). Si tratta di una misura, secondo, il presidente dell’Inps, “rigida e discriminatoria”.
La norma costruita con le due gambe dell’Assegno di inclusione e del Supporto per la formazione dei lavoratori è rigida, ha dichiarato Tridico, “se arrivasse una nuova pandemia il numero dei beneficiari infatti resterebbe sempre uguale perché legato all’età e alla disabilità. Uno strumento lontano da quel Reddito minimo chiesto dall’Ue che in altri paesi è basato sulle condizioni socio-economiche, è universale e non categoriale, uguale per tutti”, ha spiegato.
E ancora. “Se facciamo alcuni esempi vediamo che un nucleo formato da un 25 enne e un 50enne poveri, con un Isee equivalente di 6mila euro, non avrebbero accesso all’Adi mentre lo stesso nucleo con un 25 enne ma con un 60enne con un reddito anche maggiore accederebbero all’Assegno di inclusione. Questa è una discriminazione”. Il Reddito di cittadinanza, introdotto nel 2019, ha avuto una spesa media in 4 anni di 8 miliardi all’anno e ha distribuito assegni per 565 euro al mese servendo un numero di beneficiari diverso, anno per anno.
Nel 2019 ha servito 1,2 milioni di famiglie; nel 2020 circa 1,6 milioni di famiglie; nel 2021, anno di picco, 1,7 milioni di famiglie per 4 milioni di beneficiari; nel 2022 3 milioni di beneficiari e 1,7 milioni di famiglie; mentre nel mese di marzo di quest’anno i nuclei percettori sono stati poco più di 1 milione, ovvero 2,1 milioni di individui. La stima dei beneficiari dell’Adi, il nuovo assegno d’inclusione, è di “700mila nuclei”, invece, e “quindi la metà dei percettori del reddito di cittadinanza nel 2022”, ha spiegato Tridico. Il leader dell’Inps ha messo nel mirino anche il taglio del cuneo fiscale varato col decreto.
Quest’ultima sforbiciata, sostiene Tridico, come tutte le altre precedenti, ha un effetto nullo sull’occupazione e indebolisce la contribuzione verso la cassa Inps.
Il Reddito di cittadinanza va riabilitato
L’esonero contributivo per i redditi fino a 35mila euro “costa alle casse dello Stato circa 8 miliardi e distribuisce per i lavoratori full time, durante l’anno, in media 55 euro mensili”, ha spiegato. “Sono incassi che l’Inps non avrà dai contribuenti ma dalla fiscalità generale. Ricordo che in questi anni tutti i legislatori hanno attivato spesso azioni di incentivazione di sgravi contributivi, che hanno indebolito le contribuzioni verso le casse dell’Istituto. Nel 2022 abbiamo dato sgravi contributivi per circa 21 miliardi di euro, sgravi che sono stati mantenuti dal 2012 in poi per tutti gli anni.
Questo è un fattore da considerare anche alla luce del fatto che dal 2012 al 2021 l’occupazione nel nostro Paese è rimasta sempre intorno ai 23 milioni di lavoratori: ciò significa che non ha avuto un grande beneficio sull’impatto occupazionale ma solo sul costo lavoro”.
Laddove le misure vengono focalizzate su target specifici – ha argomentato ancora il presidente dell’Inps – possono avere un impatto occupazionale ma dove sono invece generalizzate e non concentrate su tale impatto non hanno effetto sul mercato del lavoro. Infine Tridico ha messo in guardia contro i rischi che lo smantellamento del decreto Dignità di fatto operato dal governo comporta, ovvero un’impennata dei contratti a termine.
“C’è una maggiore liberalizzazione per l’accesso al lavoro a termine, che passa – sono state le sue parole – da una parte attraverso i contratti collettivi nazionali oppure, secondo me la parte più critica, un accordo tra le parti, tra lavoratore e impresa: questo potrebbe favorire un eccessivo utilizzo del lavoro a termine”. Il presidente dell’Inps successivamente, da L’Aquila, è ritornato sulle polemiche scatenate dal decreto con cui l’esecutivo ha commissariato Inps e Inail rimuovendo gli attuali vertici. “Il Commissariamento dell’Inps con un decreto legge di necessità e urgenza è una procedura non corretta”, ha detto.
“Non c’era bisogno di commissariare un ente che sta funzionando bene. Non è in corso un cambiamento della governance, come pure è avvenuto in passato. Non è maturata la mia scadenza, né quella del cda, né soprattutto quella del dg. Rimango comunque dell’idea che non farò ricorso contro la mia rimozione anticipata”. E che l’Inps goda di ottima salute lo dimostrano i dati presentati dall’istituto in occasione dell’audizione al Senato sui risultati conseguiti dal 2019 ad oggi.
Negli ultimi 4 anni la gestione Inps ha segnato il passo del cambiamento: è aumentato del 14% l’indice di produttività, sono state assunte 12mila unità, sono raddoppiati da 250 a 520 milioni di euro gli investimenti in tecnologia e digitalizzazione, sono stati tutti raggiunti gli obiettivi del Pnrr. Ma per il governo evidentemente tutto questo non ha importanza. L’obiettivo era far fuori l’economista che ha svolto un ruolo da protagonista nelle leggi che hanno arginato la povertà e la precarietà sul lavoro.