Alfonso Sabella, giudice di primo grado al tribunale di Roma, lei è stato sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo di Gian Carlo Caselli e autore di arresti eccellenti come quelli di Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella: condivide le parole del procuratore Gratteri secondo il quale è in corso una smobilitazione della legislazione antimafia?
“No, sinceramente non concordo, anzi le dirò che la penso in maniera diametralmente opposta: penso che la mafia sia quasi l’ultimo dei problemi….”.
Siamo sicuri di aver sentito bene? Può ripetere?
“Intendo dire che la lotta alla mafia è ancora l’unica che si salva in Italia perché abbiamo gli strumenti per continuare a contrastare il fenomeno. A me inquietano molto di più i passi indietro che stiamo facendo sui reati dei pubblici ufficiali. Ricordiamoci che l’Italia è al penultimo posto in Europa per quanto riguarda la corruzione, ci supera solo la Bulgaria. Non ho alcuna fiducia nelle capacità delle nostre pubbliche amministrazioni di resistere da un lato alle tentazioni, dall’altro alle pressioni e vedo grande inadeguatezza professionale”.
Questo suo convincimento deriva dall’esperienza come assessore alla legalità a Roma?
“Lo sottoscrivo col sangue (ride, ndr). Ma se non abbiamo una pubblica amministrazione adeguata ai compiti non è solo colpa dei burocrati: per lungo tempo abbiamo pensato che la qualità non vada pagata e quindi è facile venire tentati dalla concorrenza dei privati”.
Se la mafia è l’ultimo dei problemi, quali sono allora le priorità?
“Precisiamo prima una cosa, però: con il recente codice degli appalti voluto dal ministro Salvini abbiamo spalancato un’autostrada alle mafie mentre sui reati tipici delle associazioni mafiose impattano meno gli effetti della riforma Cartabia”.
Riforma che ha creato altri problemi…
“Stavo per arrivarci. Oggi (ieri per chi legge, ndr) un difensore che poteva chiedermi un patteggiamento mi ha chiesto il rito abbreviato, dove, rinunciando all’appello, guadagni un altro sesto di sconto sulla pena. Il patteggiamento lo avrei chiuso in due minuti, con l’abbreviato i tempi si allungano. Sa quanti processi ho fatto oggi? Quarantatré. Di questi uno l’ho dovuto rifare, con quattro ore di testi, perché la volta precedente non aveva funzionato il sistema di registrazione. Le riforme dovrebbero farle gente che sta nelle aule di tribunale. Ci ritroviamo con una legislazione penale assurda, dove non si capisce quali siano i reati più gravi. Portare un Kalashnikov in luogo pubblico è punito con minimo due anni, per un rave party sono previsti minimo tre anni. Per provare a frenare i problemi di ordine pubblico abbiamo il reato di devastazione e saccheggio che è una norma anti-brigantaggio di cento e passa anni fa. Quello che io vedo, a differenza di Gratteri, è una smobilitazione del sistema giustizia nel nostro paese. Le dico poi una cosa da cittadino prima ancora che da magistrato: aver reso con la riforma Cartabia alcuni reati perseguibili solo a querela di parte è una cosa ignobile. Siamo allo svilimento del sistema penale, spesso non si trova più la persona offesa per cui è impossibile la querela di parte. Io non sono contrario a prescindere a portare alcuni reati dalla procedibilità d’ufficio a quella a querela. Ma la scelta avrebbero dovuto farla persone con una conoscenza anche minima di quel che accade quotidianamente nei tribunali. Basterebbe anche solo passare una mezza giornata in piazzale Clodio per rendersene conto”.
Sempre il procuratore Gratteri ha detto che “il 41 bis non è un sistema penitenziario tipo Guantanamo”. Chi è detenuto al 41bis, dal punto di vista astratto, sta più comodo di chi è all’alta sicurezza o tra i comuni. Chi è al 41bis sceglie di continuare a stare lì perché ha la possibilità, collaborando, di uscirne subito”.
“Mi dispiace ma devo essere duro: se il 41 bis è uno strumento per indurre a collaborare con la giustizia, allora il 41 bis è incostituzionale e va eliminato dal nostro ordinamento. Io penso che invece che se il 41 bis è uno strumento che serve a proteggere la comunità dai boss che continuano a dare ordini dal carcere, allora è uno strumento validissimo, insostituibile, ma che va limitato e applicato solo nei casi in cui è realmente necessario come regime di detenzione. Dire che un detenuto sta meglio al 41 bis, quando i colloqui con i familiari li fa attraverso un vetro divisorio e non può toccare neppure i suoi figli, mi pare una affermazione come minimo azzardata. Il 41 bis tutto può essere tranne uno strumento per indurre la gente a collaborare, quello equivarrebbe a dire che il 41 bis è tortura e darebbe ragione a chi vuole abrogarlo. Non facciamo questo errore perché rischiamo di avere qualche mazzata da parte della giustizia europea e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Abbiamo troppi detenuti al 41 bis, quando c’erano le guerre di mafia e lo Stato in ginocchio erano 600, oggi siamo oltre 800, un numero decisamente elevato. Chi usa il 41 bis come mezzo per ottenere confessioni snatura quello che volevano Falcone e Borsellino con l’introduzione di questa norma. Negli anni ‘90 a Palermo i pentiti li abbiamo fatti parlare sempre prima che andassero al 41 bis. In seguito si è pensato che più si allarga il numero dei detenuti al 41 bis, più i soggetti meno forti sono indotti a fare dichiarazioni e confessare. Questo è il metodo che nel tempo preso ha piede e io lo ritengo inaccettabile”.
Come mai, con tutta la sua esperienza di cacciatore di mafiosi (raccontata anche in una fiction tv, ndr) ha scelto di fare il giudice di primo grado?
“Una volta ingenuamente feci una domanda per la Procura Nazionale antimafia, non l’hanno nemmeno presa in considerazione, perché non ho fatto il giro delle sette chiese. Non appartengo ad alcuna corrente della magistratura, non faccio domande per incarichi direttivi o semidirettivi e non le farò fino a quando il Consiglio Elettivo della Magistratura non sarà eletto per sorteggio e sarà sganciato finalmente dal sistema correntizio”.