Erdogan non è riuscito a superare il 50% e quindi, anche se ha avuto più voti dell’avversario, dovrà andare al ballottaggio: un’umiliazione per il Sultano.
Walter Rubini
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Gentile lettore, non mi preoccuperei tanto dell’umiliazione di Erdogan: era già evidente che per la prima volta, dopo 20 anni al potere, la sua rielezione non fosse scontata. Ha ottenuto il 49% dei voti e il suo sfidante Kemal Kiliçdaroglu il 45%. Il partito di Erdogan ha già incamerato la maggioranza dei seggi in parlamento, tuttavia è impossibile prevedere cosa accadrà al ballottaggio nella sfida a due. Mi preoccuperei invece di altro. La Turchia è una grande polveriera, percorsa da odii che non sono solo politici ma si tingono di connotati religiosi (islamici contro laici) ed etnici (l’est curdo ha votato in massa per Kiliçdaroglu): su queste tensioni soffia sinistro il vento di interessi stranieri. Alcuni ministri si sono scagliati con inusitata violenza verbale contro l’America, accusandola di pesanti interferenze nella campagna elettorale. Erdogan ha sempre additato gli Usa come sponsor del fallito golpe militare del 2016, quando Obama era presidente e Biden il suo vice. Anche da qui la polivalente posizione della Turchia, che fa parte della Nato ma compra armi dalla Russia e non partecipa alle sanzioni contro Mosca. In caso di vittoria di Kiliçdaroglu, come reagirebbe la classe militare, oggi molto pro Erdogan? E al contrario, se vincesse ancora il Sultano, potremmo assistere a rivolte di piazza, nello stile di una nuova primavera araba ma in salsa turca, allestita oltreatlantico come tutte le altre feroci primavere?
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