Un tempo c’erano i Benetton che foraggiavano la stampa, oggi, che non vanno più di moda, ci sono altri imprenditori pronti a prendere il loro posto. Del resto il decreto del Ponte sullo Stretto stanzia ben 7 milioni di euro per una campagna di comunicazione, che rischia di trasformarsi in un megafono di pura propaganda politica per farci sapere che l’opera è cosa buona e giusta. La sviolinata ieri è arrivata dalla colonne de La Stampa per bocca di Pietro Salini (nella foto), amministratore delegato di Webuild, a cui il governo ha promesso di restituire l’incarico di general contractor che gli venne revocato nel 2011, quando Mario Monti arrivò a Palazzo Chigi.
Tramontati i Benetton ora i grandi editori, affamati di pubblicità, lodano l’imprenditore Pietro Salini imbottito di fondi pubblici
“La verità – ha detto Salini – è che sul Ponte sullo Stretto si fanno polemiche modeste. È un’opera che sognava già Giulio Cesare. Noi tra un anno siamo pronti a far partire i lavori”. E ancora: “Sarà una vetrina incredibile per l’Italia, anche turistica. Costruiremo il ponte più lungo del mondo”. L’ad spiega anche di non vedere “tutti questi ladri in giro” e di non temere infiltrazioni criminali. A fermarlo non ci saranno certo i rilievi dell’Anac. “Abbiamo vinto una gara internazionale che contiene tutte le garanzie e le tutele di legge a favore della pubblica amministrazione”, ha replicato Salini.
Eppure, poco meno di un mese fa, l’Autorità nazionale anticorruzione aveva invitato il governo a definire costi, tempi di realizzazione e assunzione dei rischi, evitando e vigilando sui subappalti a cascata. Perché, è il monito del presidente Giuseppe Busia, il decreto approvato dal Consiglio dei ministri “ha determinato una posizione di vantaggio del contraente generale privato”. È quel che sostengono anche le opposizioni, denunciando il regalo di Stato a Webuild.
Attraverso un complesso e caotico calcolo il governo ha rivisto i costi attuali dell’opera da riconoscere ai privati, passati dagli 8,5 miliardi del 2011 a 14,5 miliardi di euro. Ma la cifra è destinata a lievitare ancora. E poco male se questo – come ha denunciato il Pd– rischia di farci andare incontro a contenziosi e bocciature da parte della Corte di giustizia europea. Il punto è che il superamento del tetto massimo del 50% dei costi rispetto a quelli previsti nel contratto originario farebbe scattare l’obbligo di una nuova gara.
Ma il governo fin qui ha rassicurato che non ci sono questi rischi. Eppure sul confusionario sistema di calcolo con cui lo Stato ha rivisto al rialzo la stima sui costi dell’opera accendono un faro anche i tecnici del Servizio Bilancio della Camera. In particolare sulla norma che prevede che il costo complessivo dell’opera comprenda l’aggiornamento dei prezzi dei contratti decaduti.
Il dossier dei tecnici, “pur rilevando che la quantificazione dei costi dell’opera resta rinviata al futuro piano economico finanziario della concessione (e, in questo senso, la disposizione così introdotta non dovrebbe comportare effetti di carattere diretto ed immediato)” sottolinea, tuttavia, che “il meccanismo prefigurato dalla norma ha l’effetto di includere nel costo dell’opera nuove voci di spesa precedentemente non considerate in quanto i contratti caducati hanno cessato di produrre effetti e i relativi indennizzi, avrebbero dovuto costituire l’unica pretesa dei soggetti interessati”.
Tenuto conto sia di tali considerazioni, sia del fatto che i relativi dati dovrebbero essere disponibili, trattandosi di contratti già esistenti e noti alla parte contraente, nel documento si esprime la necessità di “acquisire elementi conoscitivi circa gli effetti finanziari che le disposizioni” in questione “produrranno sul costo complessivo dell’opera”. Ma non è finita qui. La Repubblica riporta i contenuti di quello che definisce l’unico documento ufficiale in mano allo Stato sul progetto del Ponte presentato dalla società Stretto di Messina dopo la gara vinta a suo tempo dall’ex consorzio Eurolink. Si tratta della relazione della commissione del ministero dell’Ambiente per la Valutazione di impatto ambientale sul progetto “definitivo di attraversamento dello Stretto”.
Una relazione datata 21 marzo 2013 e arrivata dopo i decreti del governo Monti che archiviavano la grande opera. In quella relazione si chiedevano ulteriori chiarimenti al concessionario e si valutavano le risposte arrivate come parziali, lacunose e non sempre esaustive riguardo alle criticità ambientali. Al punto che, ricorda sempre la Repubblica, la commissione Via-Vas non diede alcun parere positivo finale al “progetto del Ponte”.
Salini ha ricordato anche che verrà ritirato il contenzioso con lo Stato da 700 milioni di euro innescato dalla revoca decisa da Monti “nel momento in cui ci venisse restituito quanto ci è stato tolto”. Ma crediamo possa dormire sonni tranquilli, Salini. Con questo governo è in una botte di ferro.