Sbarcherà oggi nell’Aula della Camera il decreto del Ponte sullo Stretto. Le commissioni Trasporti e Ambiente di Montecitorio hanno licenziato il testo tra le accese proteste delle opposizioni che lanciano l’allarme sui costi, accusano l’esecutivo di fare un regalo di Stato e avvertono sui rischi di contenzioso. Ma il governo si difende sostenendo invece di aver evitato aumenti smisurati dei prezzi ed extraprofitti.
Ad accendere le proteste c’è un emendamento della maggioranza sul caro materiali. La riformulazione della Ragioneria e del Mef viene preannunciata alla ripresa dei lavori delle commissioni riunite Trasporti e Ambiente dal sottosegretario ai Trasporti, Edoardo Rixi, che per l’opera conferma i costi già stimati dal Def (per quanto lo stesso Documento di economia e finanza specifichi che al momento non ci sono le coperture), ovvero 13,5 miliardi. Una cifra in aumento rispetto agli 8,5 miliardi del 2011 ma Rixi precisa: il progetto resta lo stesso di 12 anni fa, ma viene aggiornato, “i materiali nel tempo sono cambiati”.
L’emendamento riformulato effettivamente fissa il costo complessivo dell’opera “nel limite massimo” dell’importo indicato nel Def, ma puntualizza che la rideterminazione del prezzo viene fatta “escludendo gli oneri finanziari funzionali alla remunerazione dei capitali apportati dall’investitore privato” e gli “oneri funzionali all’adeguamento del progetto esecutivo” a delle prescrizioni fissate dal decreto, come la normativa sulla sicurezza o la compatibilità ambientale.
Sbarcherà oggi nell’Aula della Camera il decreto del Ponte sullo Stretto. Ma i 13,5 miliardi stimati sono destinati a crescere
Per le opposizioni, è chiaro che la stima del Def confermata da Rixi è un bluff e che è destinata a lievitare ben oltre i 13,5 miliardi annunciati. “In questo modo, l’opera andrà a costare ben più di 15 miliardi. Una mangiatoia di soldi pubblici dello Stato per un’opera che non ha un piano tecnico economico di fattibilità”, denunciano Angelo Bonelli e Francesca Ghirra, deputati di Alleanza Verdi e Sinistra, che ci leggono un “vero e proprio regalo” al consorzio Eurolink (dell’allora Salini, oggi Webuild).
Inoltre l’emendamento lega il riconoscimento dell’aggiornamento dei prezzi parametrato a quelli degli anni 2022-2023 alla data di approvazione dell’opera da parte del Cipess, fa notare il Pd. “Delibera che ad oggi non ha una data certa”: i 13,5 miliardi “saranno sufficienti se la delibera non dovesse essere approvata in tempi brevi?”, si chiedono i dem, che avvertono anche sul rischio di contenziosi a livello europeo. Secondo il Pd, “l’aggiornamento della progettazione e il cronoprogramma realizzativo potrebbero infatti sfiorare quel 50 per cento dei costi oltre il quale scatta l’obbligo di una nuova gara”.
Ma Rixi rassicura: “Sono state fatte due modifiche di riformulazione per chiarire due cose: prima di tutto che il limite sono i 13,5 miliardi del Def, dunque l’opera sta dentro quel limite; secondo dovevamo fissare dei criteri oggettivi”, dal momento che i “materiali negli ultimi 2 anni sono aumentati, alcuni anche oltre il 40%, e bisognava misurare i costi per evitare extraprofitti per un’azienda che ha vinto l’appalto nel 2012”.
Nonostante le proteste delle opposizioni che chiedevano più tempo per analizzare il nuovo testo, alla fine la presidenza ha tirato dritto col voto finale e il provvedimento è stato approvato. Ora passa all’esame dell’Aula, dove inizia oggi la discussione generale (dopo la pausa per le amministrative tornerà in Aula il 15 per la fiducia). Tra le ultime modifiche approvate in commissione c’è anche la campagna pubblicitaria da 7 milioni per dire agli italiani che l’opera è cosa buona e si deve fare.