È forse l’emblema assoluto del cattivo stato dell’informazione (e della comunicazione tout court) in Italia: la Rai, la Tv di Stato vittima – ieri come oggi, sia chiaro – delle dinamiche di partito che puntualmente la tengono in ostaggio. E così anche con il governo Meloni. Dopo l’approvazione del bilancio, ci si sarebbe aspettato (o, meglio, così si aspettavano dal governo) che l’attuale amministratore delegato presentasse le sue dimissioni. Ma Carlo Fuortes non ha avuto finora alcuna intenzione di seguire questa strada. Per un motivo molto semplice: il mandato dell’attuale cda scade l’anno prossimo, nel 2024. Dunque non c’era alcun motivo per rassegnare le dimissioni.
Palazzo Chigi pronto a varare un decreto per liberare il San Carlo. E piazzare l’Ad di viale Mazzini Fuortes al teatro di Napoli
Ma ora le cose sono cambiate. Il governo gli ha cucito addosso una norma ad personam che dovrebbe andare in Consiglio dei ministri oggi per accelerare così le sue dimissioni che potrebbero arrivare al più tardi lunedì. Una norma che dovrebbe fargli prendere il posto di soprintendente del prestigioso teatro San Carlo di Napoli, ruolo oggi ricoperto da Stephane Lissner.
Che tuttavia, a sua volta, non vuole farsi da parte. Un vero e proprio nodo gordiano difficile da districare. Ed ecco perché il governo ha pensato a una soluzione: un provvedimento che permetta ai soprintendenti che hanno compiuto i 70 anni di andare in pensione. Cosa c’entra questo? Semplice: Lissner ha compiuto 70 anni. Dunque potrebbe andare in pensione e liberare il posto per Fuortes, che a sua volta potrebbe liberarlo per il fedelissimo della Meloni, Giampaolo Rossi.
Un giro kafkiano che adesso però pare sempre più vicino a soluzione. Le opposizioni (Pd e Movimento cinque stelle in testa) sono sul piede di guerra. Hanno già fatto sapere che ostacoleranno qualsiasi provvedimento ad personam (o contra personam, a seconda dei punti di prospettiva). “Ci opporremo a una norma ad personam che consenta a questo governo di cambiare i vertici della Rai senza avere una minima idea di visione di ciò che deve essere la più grande azienda culturale italiana. La legge non prevede spoil system, e noi vogliamo rispettare la legge dello Stato italiano, e non le leggi ad personam della destra al Governo”, hanno dichiarato in una nota congiunta Stefano Graziano, capogruppo Pd in commissione di Vigilanza Rai e Sandro Ruotolo, responsabile Informazione e Cultura del partito.
“Per questo riteniamo che sia opportuno e doveroso ai sensi della legge rispettare la scadenza naturale del consiglio d’amministrazione. Siamo contrari a espedienti che minano il pluralismo e la democrazia. Il Governo si occupi piuttosto di fare il contratto di servizio e offra certezze e prospettive all’azienda per portare a compimento il piano industriale e salvaguardare il servizio pubblico”. Sulla stessa scia, come detto, si sono posti anche i pentastellati. Insomma, se la norma dovesse essere approvata da Palazzo Chigi, si prepara una durissima battaglia parlamentare.
Nel frattempo a Viale Mazzini lo stallo regna sovrano. Con lo spauracchio dello sciopero generale delle maestranze già annunciato dalle sigle sindacali per fine maggio a causa (anche) della situazione di stasi dovuta proprio ai giochetti di partito, il problema è che anche l’offerta formativa inevitabilmente risente di questo folle quadro. Pensiamo alle nomine dei prossimi direttori di genere: oramai assistiamo da mesi alla girandola di nomi che potrebbero prendere il posto degli attuali direttori. Parliamo, a onor del vero, di nomi di spicco, di direttore potenziali autorevoli in molti casi, di conferme opportune in altri.
Il problema, però, è che con l’avvicinarsi del palinsesto invernale (tra poche settimane bisognerà cominciare a pensarci) nessun direttore uscente vorrà prendersi la briga di ideare un programma nuovo, spendendo tempo ed energia per qualcosa che magari non vedrà mai la luce perché non piace al futuro direttore. Risultato? Tv di Stato. E di stallo.