L’Italia deve fare i conti con l’ennesimo disastro che ha travolto l’Emilia Romagna. Professor Mario Tozzi, ci dobbiamo rassegnare al fatto che questa è la normalità?
“Certamente. Ormai questa è la normalità perché è così da tanto tempo. Onestamente non vedo come si possa pensare il contrario visto che questi eventi avvengono di continuo e quindi non possono essere considerati eccezionali”.
Smottamenti e allagamenti stanno mettendo in ginocchio l’Emilia Romagna. C’è modo per mitigarli, magari con infrastrutture e opere di contenimento?
“Non è un problema di infrastrutture e francamente non capisco quest’ossessione per le infrastrutture. Quali infrastrutture si possono riparare dopo un disastro come quello di Ischia o Faenza? Nessuna. Dobbiamo finirla di parlare di infrastrutture e opere perché semmai il problema è l’esatto opposto ossia che ne abbiamo fatte troppe. Abbiamo versato troppo asfalto e cemento rendendo il territorio impermeabile e ora ne paghiamo il prezzo. A questo si somma il cambiamento climatico di cui siamo responsabili noi stessi. Cosa vogliamo fare, muraglioni alti venti metri attorno a tutti i fiumi? Non scherziamo”.
Quindi qual è il problema?
“Diciamolo chiaramente: la messa in sicurezza del territorio non è un problema infrastrutturale ma culturale. Bisogna capire che più lasciamo in pace i fiumi e meglio è. Servono meno argini, meno bastioni e meno contenimenti perché i corsi d’acqua devono essere liberi di esondare. Se poi qualcuno ha edificato case dove non si poteva, allora non c’è opera che tenga. Non stiamo parlando di un palazzo che sta cedendo e che va restaurato ma di un sistema naturale devastato. Abbiamo trasformato i fiumi in canali, fatto argini ovunque e ci sorprendiamo se il sistema naturale ne soffre. È assurdo”.
Cosa si dovrebbe fare?
“Prima di tutto bisogna sgomberare e abbattere le case abusive nelle zone rischiose mentre per quelle sanate ma legittime lo Stato deve aiutare gli abitanti a spostarsi altrove. Poi dobbiamo smetterla di usare i combustibili fossili sperando che basti a far regredire il cambiamento climatico ma dobbiamo anche pianificare diversamente il territorio usando metodi di ingegneria naturalistica ”.
Come si spiega l’esistenza di un diffuso negazionismo?
“Mi permetto di dissentire perché non credo sia diffuso ma è molto amplificato da certi organi di stampa”.
Si parla da mesi dell’emergenza climatica ma il governo non ha fatto nulla e ieri Salvini ha deto che venerdì si terrà un tavolo tecnico per affrontare il problema. È ancora tempo di discutere?
“Immagino che Salvini, da uomo pragmatico qual è, si renda conto che non si può perdere altro tempo dietro a dibattiti accademici. Gli scienziati lo hanno acclarato: è in atto un cambiamento climatico, è anomalo e accellerato e dipende dall’attività umana. È tempo di agire azzerando subito le emissioni che alterano il clima. E per farlo è necessario levare i soldi pubblici che diamo ai petrocarbonieri. Poi dobbiamo fare interventi mirati per mitigare il rischio derivante dai cambiamenti climatici”.
Ci dica la verità, come vede il futuro del nostro Paese davanti a questi stravolgimenti climatici?
“Non vedo un futuro particolarmente luminoso. Abbiamo un’agricoltura di qualità ma che è corresponsabile dell’uso improprio dell’acqua e del suolo, e che si è riconvertita su culture sempre più idrovore. Consideri che siamo diventati i secondi produttori di Kiwi e tutto ciò non ha nessun senso. Di questo passo il Brunello di Montalcino lo faranno a Göteborg in Svezia, l’Aglianico a Berlino e da noi coltiveremo i datteri. Chiaramente l’Italia non può risolvere il problema da sola il problema e non può riuscirci neanche l’Ue perché questo è un problema globale”.