Se non è un disastro, poco ci manca. Perché, a conti fatti, il governo Meloni al di là degli annunci poco ha fatto. Perché anche quando ha di fatto concretamente approvato alcune leggi, non sempre queste poi hanno trovato reale applicazione. Tutta colpa – si fa per dire – dei cosiddetti decreti attuativi. Parliamo degli atti di secondo livello come regolamenti e decreti ministeriali che spesso servono a dare operatività alle norme, definendo i contenuti di dettaglio delle misure messe in campo. In altre parole, dopo il lavoro del Parlamento, l’implementazione di una legge passa nelle mani di ministeri e agenzie pubbliche.
Mai approvati 521 decreti attuativi. Le norme mancanti per responsabilità dell’attuale Esecutivo sono 210. Altre 221 restano in eredità da Draghi
Un secondo tempo spesso ignorato ma che lascia molte norme incomplete. È come se la legge, senza i provvedimenti attuativi, esistesse solo sulla carta ma non nella pratica. Ebbene, i decreti attuativi richiesti dalle norme varate dal governo Meloni sono in totale 210. Di questi 173 devono ancora essere pubblicati. La quota più consistente di attuazioni che devono ancora essere emanate però risale a norme varate dal governo Draghi (221) mentre 85 sono eredità dei due governi Conte.
Il punto è che, a conti fatti, c’è stata una sorta di esplosione di decreti attuativi richiesti nell’ultimo periodo. Il numero totale di tali provvedimenti che mancano all’appello è in aumento rispetto alla nostra ultima rilevazione. Alla fine di febbraio infatti i provvedimenti di secondo livello che risultavano ancora da adottare erano 470 in totale (escludendo dal conteggio i 44 risalenti alla XVII legislatura di cui non si hanno informazioni dettagliate). Dopo circa due mesi, alla data del 20 aprile, questo numero è cresciuto di 9 unità. Ciò nonostante che nello stesso periodo i vari ministeri coinvolti abbiano emanato diverse decine di provvedimenti.
Ma il vero problema è che, ovviamente, dietro le mere carte bollate e le parole delle leggi, ci sono i fondi. Che senza provvedimenti attuativi restano bloccati. Ma di quanto parliamo, in soldoni? Il conto l’ha fatto OpenPolis che come sempre monitora puntualmente l’operato della politica tutta. “Un elemento particolarmente rilevante quando si parla di decreti attuativi è quello delle risorse già stanziate ma che non possono essere erogate a causa della mancanza di tali atti”, si legge sul sito della piattaforma di monitoraggio. Infatti governo e Parlamento possono prevedere dei fondi a favore di determinate categorie di soggetti (altre istituzioni, enti locali, imprese, cittadini colpiti da calamità naturali e via dicendo).
I fondi già stanziati ma che risultano inutilizzabili a causa della mancanza dei decreti ammontano a circa 17 miliardi di euro
In questi casi però spesso le risorse per poter essere effettivamente erogate necessitano di indicazioni ulteriori. Ai decreti attuativi è demandato il compito di individuare, ad esempio, le modalità di selezione dei soggetti beneficiari delle risorse e anche come queste dovranno essere erogate. Senza tali indicazioni l’ammontare di fondi messo a disposizione di fatto rimane solo sulla carta. Ebbene, in base alle informazioni disponibili alla data del 20 aprile, sottolinea ancora OpenPolis, i fondi già stanziati ma che risultano inutilizzabili a causa della mancanza dei decreti attuativi ammontano a circa 17 miliardi di euro.
Considerando le varie norme che risultano avere risorse bloccate, si può osservare che quella più rilevante è la legge di bilancio per il 2023. In questo caso i fondi non erogabili per il momento ammontano a circa 5,7 miliardi di euro. Al secondo posto troviamo il decreto “Aiuti-ter” che vede un ammontare di circa 2 miliardi di euro ancora da sbloccare. Al terzo posto invece il decreto “Infrastrutture e mobilità sostenibili” risalente al governo Draghi. Una misura che, oltre a riorganizzare la struttura ministeriale, prevedeva anche investimenti consistenti per il recupero del divario infrastrutturale, con investimenti specie nel mezzogiorno. Insomma, ce n’è per tutti.
E dire, peraltro, che l’Ufficio per il programma di governo fa capo direttamente alla presidenza del Consiglio. Potrebbe essere, dunque, la stessa Giorgia Meloni a premere affinché alle parole seguano i fatti. Chissà che non accada dopo questi impietosi dati.