Neanche il tempo di dire che la proposta di riforma del Patto di stabilità avrebbe “soddisfatto tutti” che il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni è stato smentito pubblicamente dalla Germania. Ma guai a pensare che il testo abbia reso felice qualcuno perché anche l’Italia, come il resto dell’Ue, ha più di qualche ragione per lamentarsi per quello che viene visto come un accordicchio che di fatto riesce nell’ardua impresa di scontentare praticamente tutti.
La proposta di riforma del Patto di stabilità Ue di fatto riesce nell’ardua impresa di scontentare praticamente tutti
“Per un quarto di secolo, il Patto di stabilità e crescita ha fornito una base condivisa per le politiche fiscali dell’Ue e un sostegno essenziale per l’Unione economica e monetaria. Tuttavia, le carenze del Patto sono state anche fin troppo evidenti, sia che si guardi all’andamento del debito pubblico nell’Ue, ai livelli di investimento o ai nostri risultati di crescita economica negli ultimi due decenni” ha premesso Gentiloni annunciando la sua proposta.
“Inoltre, le sfide che affrontiamo oggi sono lontane un mondo da quelle degli anni ‘90. Il debito pubblico è aumentato, così come le nostre esigenze di investimento, che si tratti di transizioni verde e digitale, sicurezza e difesa o resilienza delle nostre catene di approvvigionamento industriali. Le proposte odierne affrontano entrambi questi aspetti: mirano a realizzare una riduzione più graduale ma più costante dei livelli del debito e a promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso investimenti e riforme” ha spiegato Gentiloni aggiungendo che “siamo arrivati a questo punto dopo ampi confronti e consultazioni, e siamo convinti che questo nuovo quadro sosterrà sia la stabilità che la crescita dell’Unione Europea negli anni a venire”.
Soddisfatto anche il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, che ha spiegato come “se il deficit pubblico di un Paese rimane superiore al 3% del pil, dovrà effettuare un aggiustamento fiscale minimo dello 0,5% del pil all’anno, da applicare come parametro comune. E non si può fare il passo più lungo della gamba, né il ‘backloading’” rinviando l’aggiustamento a un secondo momento”. In questo modo, assicura, “gli Stati membri non potranno rimandare gli aggiustamenti di bilancio a una data successiva. Questo vale anche per la realizzazione delle riforme e degli investimenti necessari”.
Insomma da Bruxelles filtra ottimismo per una rapida approvazione del testo che ora dovrà essere esaminato dal Consiglio Ue dove, però, si preannunciano tempi duri con la sicura opposizione della Germania. La riforma del Patto di stabilità, almeno secondo la Commissione Ue, si pone l’obiettivo di “rafforzare la sostenibilità del debito pubblico e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva in tutti gli Stati membri attraverso riforme e investimenti”. Un testo in linea con il discorso sullo stato dell’Unione del 2022, pronunciato dalla presidente Ursula von der Leyen, con “le nuove norme che faciliteranno le riforme e gli investimenti necessari e contribuiranno a ridurre gli elevati indici del debito pubblico in modo realistico, graduale e duraturo”.
Ma al di là delle parole ciò che resta, facendo infuriare i Paesi maggiormente indebitati, sono i parametri di Maastricht in base ai quali il rapporto tra deficit e Pil non deve superare il 3% e quello tra debito pubblico e Pil non deve sforare la soglia del 60%. Ai Paesi Ue che non rientrano nei parametri, come nel caso dell’Italia che ha un rapporto debito-Pil del 144%, la Commissione fornirà indicazioni per l’andamento della spesa da portare avanti per un periodo compreso, in base ai casi, tra i quattro e i sette anni. Ma non si tratta di indicazioni di massima perché questi Stati inadempienti dovranno garantire che, entro i tempi stabiliti, il debito/Pil sia realmente diminuito e, come se non bastasse, dovranno continuare a ridurlo fino a quando il deficit sarà oltre il 3% del Pil. Come? Riducendolo dello 0,5% all’anno. Insomma è chiaro che si tratta di una vera e propria batosta, tanto che in molti parlano di ritorno dell’austherity, per Paesi che sono già in enorme difficoltà.
Quel che è certo è che al governo di Berlino sembra non bastare il fatto che resteranno intatti i criteri previsti dal Trattato di Maastricht. Questo perché è noto che il governo del cancelliere Olaf Scholz sperava addirittura di renderli più severi. E, infatti, il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner non ha perso tempo per dire che “le proposte della Commissione europea non soddisfano ancora le richieste del governo federale” e che la Germania “non accetterà proposte di riforma che indeboliscano il patto di Stabilità e crescita dell’Ue”.
Giorgetti: “È certamente un passo avanti ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento”
Insomma per Berlino il Patto di stabilità e crescita o viene rafforzato oppure è meglio lasciarlo così com’è. Ma non può cantare vittoria soprattutto l’Italia che sperava in un improbabile allentamento di tali obblighi o almeno nell’approvazione di una “golden rule” sugli investimenti consistente nel lasciare fuori dai conteggi del debito alcune spese destinate alla crescita e alla difesa. A dirlo chiaro e tondo è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti: “Prendiamo atto della proposta della Commissione sul nuovo Patto di stabilità. È certamente un passo avanti ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e Green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”.
Al momento l’unica certezza è che per l’Italia, con il ritorno del rigore sui conti nell’Unione europea dopo la parentesi della pandemia, le cose si mettono male perché serviranno aggiustamenti consistenti e bisognerà rimboccarsi le maniche. A lasciarlo intendere è lo stesso Gentiloni secondo cui “è nell’interesse dell’Italia avere un percorso realistico di riduzione del debito e se abbiamo incentivi per gli investimenti sui beni comuni europei questo lo è ancora di più”.