Nuova stangata contro il Governo italiano: la Corte europea dei diritti dell’uomo ha inflitto un duro colpo al presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti sui debiti della PA. Stando a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo, l’esecutivo di Roma deve pagare le fatture degli enti italiano.
La Corte europea dei diritti dell’uomo contro il Governo italiano sui debiti della PA
La notizia è stata annunciata a pochi gironi dall’approvazione del Documento di economia e finanza (Def), elaborato al Governo Meloni all’insegna della riduzione del deficit e soprattutto della “prudenza”. A seguito della decisione della Corte Ue, il Mef ha dovuto cominciare a risarcire i danni morali ad alcune imprese calabresi che vantano crediti nei confronti di Province, Comuni in dissesto, Aziende sanitarie locali e società controllate dagli stessi enti pubblici, dando esecuzione a una sentenza emanata nei mesi scorsi.
Nell’immediato futuro (è una questione di giorni), quindi, l’esecutivo dovrà rendere noto quali strategie metterà in campo per procedere alla liquidazione dei crediti che ammontano a circa 3 milioni di euro. In questo contesto, tuttavia, va sottolineato che gli esborsi potrebbero aumentare. Nel corso dei prossimi mesi, infatti, la Corte europea dei diritti dell’uomo si pronuncerà su altre decine di ricorsi presentati da Crotone e da svariate imprese con base in Calabria, Campania e Sicilia.
Torna così in auge l’annosa questione dei debiti non pagati dalla Pubblica Amministrazione. Questione di cui, al tempo del suo mandato a Palazzo Chigi, Matteo Renzi aveva illusoriamente promesso “lo sblocco totale”.
La situazione
Qualora il Governo Meloni dovesse non pagare, la documentazione verrà inviata al comitato dei ministri presso il Consiglio d’Europa ossia l’organismo internazionale che monitora l’esecuzione du quanto stabilita dalla Corte di Strasburgo.
In un simile quadro, nonostante la difficoltà di valutare in modo concreto il potenziale impatto del pronunciamento, è pur certo che l’enorme quantità di debiti commerciali non pagati e ancora significativa.
Da un punto di vista teorico, tutte le pubbliche amministrazioni devono pagale le proprie fatture entro 30 giorni dalla data del ricevimento, con l’eccezione degli enti del servizio sanitario nazionale che rispondono al termine massimo di 60 giorni. È quanto previsto da una direttiva europea alla quale l’Italia non ha dato seguito per anni. Già nel 2020, il Belpaese è stato condannato dalla Corte di Giustizia europea per i ritardi sulla base di dati aggiornati all’aprile 2017.
Stando a quanto riferito dalla Ragioneria generale dello Stato: “Negli ultimi anni, anche grazie all’introduzione della fatturazione elettronica, obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni dal 31 marzo 2015, il numero delle pubbliche amministrazioni che paga i fornitori con tempi medi più lunghi di quelli previsti dalla normativa vigente si è gradualmente e progressivamente ridotto”.
Guardando all’ultimo monitoraggio aggiornato al primo semestre 2022, a fronte dei 78 miliardi pagati per le fatture ricevute dagli enti, circa 60 miliardi sono stati saldati rispettando le scadenze, 16,2 miliardi entro tre mesi, 1,2 miliardi entro sei mesi. Insoluto, però, il problema dei debiti pregressi.