L’8 aprile è stato il 50esimo anniversario della morte di Picasso. Mi sembra non sia stato onorato quanto un tale artista avrebbe meritato.
Ivo Mattei
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Gentile lettore, ognuno di noi ha il proprio pantheon di idoli. Poiché è impossibile stimare con parametri oggettivi se Michelangelo fu più grande di Leonardo, Omero più di Shakespeare, Tolstoj più di Hemingway, Wagner più di Mozart, ecc., è evidente che ognuno sceglie gli artisti con il cui mondo interiore e poetico maggiormente si identifica. Picasso non è nella primissima lista dei miei idoli. Ne riconosco la grandezza, ma preferisco Renoir, Monet, Cèzanne, Modigliani e ancor più gli immortali Van Gogh e Gauguin. Picasso, a mio parere, fu un fenomeno che si affermò in vita come sinonimo di grande artista per l’indubbio livello artistico, certamente, ma anche per motivi legati agli umori dell’epoca e alla sua capacità di tenere le pubbliche relazioni di sé stesso, che è uno dei segreti del successo. Cito talvolta Picasso per due sue frasi geniali. La prima fu il giorno del suo 60esimo compleanno, quando disse: “Eh, ci vuole un mucchio di tempo per diventare giovani”. Chi ha superato i 60 in buona salute capisce benissimo cosa volesse dire. L’altra frase fu pronunciata in un ristorante della Costa Azzurra. Dopo un sontuoso pranzo con due amici, l’oste gli disse: “Maestro, il pasto è gratis se mi regala un suo disegno”. Picasso prese una tovaglia di carta e tracciò uno schizzo. L’oste, deluso, notò: “Ma avete mangiato aragosta e caviale e per il disegno ha impiegato solo due minuti”. Picasso rispose: “La correggo: 63 anni e due minuti”.
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