Debutta la nuova Vigilanza Rai e il suo primo atto, come annunciato dal commissario Lupi, sarà la convocazione di Sigfrido Ranucci per discutere di Report. Daniele Macheda, segretario Usigrai, le sembra il modo migliore di iniziare i lavori ripartendo dalla guerra alla trasmissione di Rai 3?
“Abbiamo atteso più di cinque mesi per la nuova commissione di vigilanza Rai e invece di atti generali di indirizzo ci troviamo di fronte a richieste di convocazione dei giornalisti che somigliano più ad atti di indagine su chi fa informazione”.
Come si spiega l’astio della politica nei confronti di Report?
“Onestamente non me lo so spiegare. Dico solo che la Rai nel contratto di servizio dice chiaramente che fra i suoi doveri ha quello di sviluppare il giornalismo di inchiesta. Mi chiedo se le recenti uscite dei commissari vanno in questa direzione o semplicemente vogliono imbavagliare il servizio pubblico. Detto questo resto fiducioso sul fatto che la Vigilanza Rai saprà agire correttamente e spero che non si voglia davvero iniziare con gli attacchi al giornalismo di inchiesta e di Report”.
Sulla convocazione di Ranucci sono in molti a temere che la Vigilanza Rai possa trasformarsi in uno strumento in mano alla politica e al governo per mettere il bavaglio al giornalismo d’inchiesta. Secondo lei esiste questo rischio?
“L’idea che il governo eserciti un controllo sull’informazione Rai è un’idea sbagliata di servizio pubblico. Purtroppo è il frutto della legge di riforma targata Renzi che noi chiediamo da tempo di riformare. Le faccio presente che nella scorsa legislatura è stato portato avanti un lavoro per arrivare alla legge di riforma della governance della Rai ma alla fine il progetto è stato dimenticato in qualche cassetto. E così oggi ci ritroviamo in una situazione davvero inusuale nella quale il Presidente del Consiglio ha potuto convocare a Palazzo Chigi l’amministratore delegato della Rai per chiedere lumi sulla situazione finanziaria della Rai. Tutto ciò da la misura del controllo da parte del governo sul servizio pubblico che è del tutto inaccettabile. E lo è anche e soprattutto alla luce delle sentenze della Corte costituzionale che dal 1974 ha disposto che la Rai deve avere un’indipendenza da partiti, dalle maggioranze e dal governo. così da rispettare i cittadini che devono avere la garanzia di usufruire di una tv che fornisce un servizio pubblico e non di una tv di Stato o di governo”.
Ci può spiegare come mai ci sono voluti oltre cinque mesi per chiudere la partita per la Vigilanza?
“Non so cosa abbia determinato l’allungamento dei tempi di nomina ma certamente sarebbe stato utile avere subito la commissione per i compiti che le sono attribuiti, per esempio in relazione al piano industriale della Rai, rimasto al palo nonostante l’urgenza per l’azienda della sua approvazione”.
Sulla scia delle polemiche recentemente piovute sulla Rai, crescono le voci secondo cui Giorgia Meloni sarebbe pronta a dare il benservito all’ad Fuortes. Cosa c’è di vero?
“Non chiedetelo a me; sento parlare come voi di cambio al vertice, ma non delle motivazioni. Leggo come voi di nomine e mai di idee e progetti. Per la Rai si parla sempre di chi dovrebbe arrivare e mai di cosa dovrebbe venire a fare”.
Quest’anno ci saranno diverse nomine nel servizio pubblico. Crede che la linea filogovernativa verrà mitigata o teme che si acuirà?
“Noi chiediamo, ampiamente inascoltati, che si riformi la legge di nomina della Governance della Rai. Il servizio pubblico ha bisogno di essere indipendente dai governi e dalle maggioranze e deve poter contare su risorse certe e di durata pluriennale. Oggi si parla con insistenza di cambiare il Cda, ma perché? Il Cda dovrebbe restare in carica fino a luglio 2024. Mi limito a costatare una certa fretta di cambiare i vertice del servizio pubblico, inclusi i direttori di testate, ma non se ne capisce il perché. Se si vuole cambiare, allora qualcuno deve spiegarne il motivo. Ci tengo a sottolineare anche che come al solito si parla di nomi ma mai di che cosa dovrebbero fare queste persone e delle idee che devono portare avanti alla Rai”.
Le destre da mesi raccontano di un servizio pubblico assoggettato alla sinistra. Eppure l’ultimo studio dell’Osservatorio di Pavia racconta un’altra storia perché lo spazio concesso alla maggioranza e al governo nei Telegiornali sfiora il 70%.
“L’osservatorio di Pavia non fa altro che confermare, attraverso i dati, quello che ho detto riguardo all’urgenza di una legge che garantisca autonomia e indipendenza del Servizio Pubblico radiotelevisivo”.